06 Marzo 2024, 09:52
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PALERMO – I fratelli Salvatore e Pietro Rinella, mafiosi di Trabia, fecero “una cortesia” a Bernardo Provenzano. Dopo venticinque anni la Procura di Palermo svela i mandanti dell’omicidio del sindacalista Mico Geraci, assassinato l’8 ottobre 1998 a Caccamo. Un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto è stata notificata ai Rinella in carcere dove sono detenuti da anni.
L’indagine è dei carabinieri del Nucleo investigativo del Reperto operativo del Comando provinciale. Alcuni spunti importanti sono arrivati da un’inchiesta della Commissione parlamentare antimafia che ha girato la relazione conclusiva all’autorità giudiziaria.
Secondo la ricostruzione della Procura guidata da Maurizio de Lucia, i mafiosi di Caccamo chiesero a Provenzano di sbarazzarsi del sindacalista della Uil e politico che ostacolava gli interessi di Cosa Nostra: dalle concessioni edilizie ai contributi agricoli, dal piano regolatore alla distribuzione dell’acqua. Geraci stava per candidarsi a sindaco – dopo avere lasciato la Dc ed essersi avvicinato a Francesco Dolce e Beppe Lumia dell’Ulivo -, la sua elezione veniva bollata come un rischio per l’organizzazione criminale che fino ad allora aveva controllato la macchina comunale.
Ed allora Provenzano diede l’ordine di ucciderlo, scavalcando il capo mandamento di Caccamo Nino Giuffrè. Giuffrè si era opposto perché un gesto così eclatante avrebbe provocato la reazione delle forze dell’ordine. “Lo fecero a mia insaputa”, disse il boss una volta divenuto collaboratore di giustizia, inquadrando il contesto del delitto. Negli ultimi anni si sono aggiunte le dichiarazioni di altri tre collaboratori di giustizia (Emanuele Cecala, Andrea Lombardo e Massimiliano Restivo) raccolte dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai sostituti Giovanni Antoci e Bruno Brucoli.
Geraci “aveva superato il limite” e andava silenziato. Provenzano chiese ai boss Rinella di Trabia, suoi fedelissimi, di trovare due killer individuati in Filippo Lo Coco e Antonino Canu. Furono loro ad attendere che Geraci rientrasse a casa, di sera, per sparargli sei colpi di fucile. Sparavano, caricavano e sparavano ancora sotto gli occhi della moglie e del figlio diciassettenne di Geraci. Qualche anno dopo Lo Coco e Canu furono anche loro assassinati. Erano considerati due cani sciolti.
Tra i nuovi collaboratori è stato soprattutto Restivo a contribuire alla ricostruzione del delitto. Ha raccontato di essere stato contatto da Lo Coco e Canu per partecipare al delitto, ma si era tirato indietro. Lo Coco era l’uomo che esplose i colpi – i parenti fornirono una descrizione del killer compatibile con quella di Lo Coco – mentre Canu faceva da appoggio.
“È una giornata importantissima perché viene riconosciuto l’impegno antimafia e viene irrobustita la matrice mafiosa dell’omicidio e che la circostanza dell’omicidio sia riconducibile all’impegno di mio padre”. Per Giuseppe Geraci, figlio di Mico, sono stati anni terribili. Anni in cui è stata messa in discussione più volte la matrice mafiosa del delitto fino ad oggi con l’ordine di custodia cautelare per due mafiosi. “Sono avvocato e sto meditando la possibilità di seguire il processo da vicino. Ci costituiremo parte civile. Ma sono tutti aspetti che valuteremo con il nostro avvocato Armando Sorrentino. Comprenderete che sono momenti molto toccanti per noi. È una notizia davvero importante, per me per la mia famiglia – aggiunge Giuseppe Geraci -. Dopo le la collaborazione di Nino Giuffré eravamo incagliati in tecnicismi processuali. Era solo una questione tecnica per la quale non si procedeva. Tanto più gravi sono i reati quanto più solido deve essere il materiale probatorio. Le dichiarazioni unilaterali se non sono suffragate da dichiarazioni convergenti lasciano il tempo che trovano. Fortunatamente queste dichiarazioni convergenti sono arrivate. Adesso siamo pronti per un processo”.
“Finalmente, dopo 25 lunghi anni ci potrà essere un processo. Oggi è stato sciolto uno di quegli oscuri misteri di Palermo e della Sicilia”. Lo afferma il segretario generale della Uil Pensionati e allora segretario generale della Uil Sicilia, Carmelo Barbagallo. Oggi, aggiunge Barbagallo in una nota insieme al segretario generale della Uil Pensionati Sicilia, Claudio Barone, “è una bella giornata. Per noi, per il Paese e per tutti coloro che sono impegnati nella lotta alle mafie. Ci ricorda che le cose possono cambiare, anche se spesso questo richiede troppo tempo. Mico era una persona che aveva voglia di cambiare le cose, una settimana prima di essere ucciso mi venne a trovare, stava per candidarsi sindaco e mi chiese cosa ne pensassi. Gli espressi preoccupazione per quella sua scelta ma lui cercò di tranquillizzarmi. Sono convinto che se non l’avessero assassinato sarebbe stato eletto. Era una persona coraggiosa. Il 27 novembre scorso come Uil ne abbiamo ricordato la scomparsa, con un convegno dedicato a lui a Palermo. Oggi finalmente per lui c’è un po’ di giustizia”.
“Siamo grati a magistratura e forze dell’ordine per non avere mai smesso, come noi, di cercare verità e giustizia per Mico Geraci”. Lo afferma la segretaria generale della Uil Sicilia, Luisella Lionti, che aggiunge: “Mico era un sindacalista della Uil ucciso per avere dato voce alla Sicilia degli onesti e dei lavoratori, consapevole della spirale di sottosviluppo innescata e alimentata ogni giorno dalla mafia. Avevamo ricordato Mico Geraci ancora una volta il 27 novembre dello scorso anno a Palermo assieme ai suoi familiari e insieme con Pierpaolo Bombardieri e Carmelo Barbagallo. Aspettavamo questo giorno e questo giorno è arrivato”.
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06 Marzo 2024, 09:52