“Bisogna vedere che farà Ismaele, sì”. Ismaele – nel senso di La Vardera – è l’ospite d’onore occulto, oppure, se vogliamo, ‘il convitato di pietra’, tra i viali della Festa dell’Unità a Palermo.
Nei conciliaboli in cui si distilla purissima politica – e si preparano le prossime sfide del Partito democratico siciliano – costituisce una variabile indecifrabile: già, che farà Ismaele?
Quanti like, nel suo proporsi come oppositore tuttocampista – diventeranno voti? Starà da solo, il leader di Controcorrente, o confluirà nel vasto mare del centrosinistra? Arduo è il dilemma degli schieramenti.
Villa Filippina, nel frattempo, offre un bel colpo d’occhio. L’appuntamento è stato curato bene. I dibattiti sono interessanti, ricchi di ospiti di livello. C’è un popolo che mostra l’orgoglio di una appartenenza, sfiorando gadget, progetti e memorie.
I visitatori affluiscono continuamente. Giovani appassionati riverniciano con una mano di freschezza il sentimento di militanza che fa tanto ‘Giardino Inglese’, regno delle Feste dell’Unità di una volta. La macchina funziona ed è stata oliata con attenzione. (la foto è tratta dalle pagine social del Pd)
Oltre il colore e la passione restano, però, le ferite di un partito siciliano lontano dalla pacificazione. Una comunità divisa, nonostante le dichiarazioni di circostanza.
Sotto le legittime divisioni politiche si è sedimentato un rancore reciproco, a più strati, con evidenti riverberi personali, intorno alla fase congressuale che ha visto la conferma di Anthony Barbagallo. Le varie fasi di una ‘battaglia’ sono state abbondantemente riportate dalla cronaca su questo giornale.
L’atmosfera appare amichevole. Ma certi sguardi, certi sussurri, perfino certe negazioni indicano uno stato permanente di fibrillazione. Non rappresentano novità assolute in una storia lungamente complessa. Tuttavia, nei discorsi aspri, a taccuino chiuso, si annota lo spirito di una resistente acredine. L’unico stato d’animo condiviso tra ‘questi di qua’ e ‘quelli di là’.
Ecco, allora, la ‘doppia Festa dell’Unità’. Una, più carsica, appesa al peccato originale della divisione. L’altra, densa di emozioni positive, portata in giro dai sorrisi di chi ci crede ancora. Dei giovani, specialmente, che meriterebbero un Partito democratico di militanti, non di nemici o separati in casa.
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