Cronaca

La cupola del 2018, la mafia di domani: l’ala dei Lo Piccolo al potere

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15 Luglio 2023, 06:00

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PALERMO – Era il 2018 quando i carabinieri intercettarono la prima riunione della cupola del dopo Riina. Così la definirono gli investigatori. Alla luce dei due recenti blitz, quello dei militari a Tommaso Natale-San Lorenzo e quello della polizia a Resuttana, si può affermare che le mosse decise in quella sede, attorno a una tavola imbandita di dolci, in una modesta palazzina nel rione palermitano di Baida, hanno disegnato la mafia degli anni successivi.

Prima che arrestassero Bernardo Provenzano, nel 2006 a Corleone, si registrò una profonda frattura fra Salvatore Lo Piccolo, capomandamento di San Lorenzo, e Nino Rotolo, di Pagliarelli. Erano pronti alla guerra. Il primo voleva il rientro degli scappati in America per sfuggire alla mattanza corleonese degli anni Ottanta. Il secondo si opponeva con tutte le proprie forze al progetto. Toccò a Provenzano trovare una mediazione per evitare la guerra.

La riunione del 2018 mise in chiaro che l’aveva spuntata la linea di Lo Piccolo. A farla valere nella riunione tra una parte dei membri della commissione provinciale c’era Calogero Lo Piccolo, figlio di Salvatore il barone. Il garante della pace era Settimo Mineo, anziano capomafia di Pagliarelli. In quella sede si decise anche chi avrebbe dovuto prendere in mano il potere in caso di arresti.

Due esempi: il posto di Calogero Lo Piccolo fu preso da Francesco Palumeri (che scalzò Giulio Caporrimo) e quello di Leandro Greco, giovane ma influente capomafia di Ciaculli, dal cugino Giuseppe Greco, detto il senatore. La riunione cementò il blocco di potere dell’ala che faceva e fa capo ai Lo Piccolo. Le due ultime inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Palermo ci consegnano la prova che il blocco è granitico ancora oggi che la mafia subisce continui colpi.

Il 28 maggio 2020 Salvo Genova, boss di Resuttana e alleato dei Lo Piccolo, incontrò Giuseppe Greco. Il 30 novembre si riunì con Michele Micalizzi, capo della famiglia di Tommaso Natale e genero di don Saro Riccobono, di cui Salvatore Lo Piccolo è stata autista all’inizio della carriera criminale che lo avrebbe condotto fino a diventare, ad un certo punto, il più influente padrino dell’intera Cosa Nostra palermitana. I loro nomi si incrociarono anche nell’inchiesta e nei processi che svelarono la verità sulla scomparsa, nel 1979, dell’agente della polizia penitenziaria Calogero Di Bona. Gli riservarono una fine atroce. Strangolato e bruciato dentro un forno.

Qualche giorno dopo la scomparsa di Di Bona in Procura giunse un esposto firmato da un gruppo di agenti di polizia penitenziaria che descrivono un carcere dove i mafiosi fanno i loro comodi. Protetti dalla compiacenza di alcuni agenti. Erano anni in cui bastava soltanto nominare un padrino per far tremare le celle. Micalizzi avrebbe pestato un agente in carcere. Un fatto gravissimo per il quale non è stato stilato neppure un rapporto. Viene aperta un’inchiesta, chiusa con l’archiviazione.

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Nel 1994 il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo ricostruì l’agghiacciante vicenda. Lo Piccolo fermò Di Bona in un bar ristorante nella piazza di Sferracavallo. Lo condusse con un pretesto in campagna da Salvatore Liga. Lì c’era Saro Riccobono che chiese a Di Bona notizie sulla situazione carceraria ed in particolare sugli autori delle lettere anonime con le quali si insultavano i mafiosi”.

Poi, “gli si pose una corda al collo”. Gaetano Grado ha concluso il racconto dell’orrore : “Quando l’indomani a noi andiamo allo Zen mi hanno raccontato solo che era tutto apposto e che il lavoro fatto da Tatuneddu Liga… quando c’era di bisogno di strangolare qualche persona… diciamo che quasi quasi si facevano sempre da Tatuneddu Liga, perché poi lui gli scioglieva nell’acido .. omissis… mi hanno detto che l’hanno messo dentro il forno di Tatuneddu Liga, il forno, un forno dov’è che si .. lui faceva il pane…”.

Nell’ultimo blitz a San Lorenzo Micalizzi è l’uomo chiave. E non solo. Salvo Genova incontrò pure Giovanni Giordano, uomo di fiducia del reggente il mandamento mafioso di Noce-Cruillas Giancarlo Seidita, e Pietro Tumminia, reggente della famiglia mafiosa di Altarello. Sono altri due fedelissimi di Salvatore Lo Piccolo.

Nel Duemila fu Lo Piccolo, infatti, a piazzare Tumminia al potere, che allora imponeva il pizzo e il prezzo della vendita della carne, lui che era macellaio. “Qua comando io ora, qua ci siamo noi”, diceva a chi storceva il naso. Era forte pure della benedizione dell’allora latitante Gianni Nicchi. Nicchi e Tumminia erano entrambi legati al padrino di Pagliarelli, Antonino Rotolo, che prima di finire all’ergastolo aveva progettato di sfidare Lo Piccolo all’ultimo sangue. Tumminia aveva passato indenne quella stagione di fibrillazione, finendo per guadagnarsi persino la fiducia dei Lo Piccolo che avrebbero voluto morti tutti gli uomini di Rotolo. A cominciare proprio da Nicchi. Alla luce della riunione del 2018 e dei due blitz gli investigatori sono già al lavoro: chi sono i nuovi capi designati?

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15 Luglio 2023, 06:00

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