PALERMO – I boss di Porta Nuova regolerebbero letteralmente il traffico delle lambrette per il trasporto dei turisti. Le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo sono partite dalla vicenda di Jessica Santoro e del marito Francesco Cataldo, coinvolti nel blitz dei giorni scorsi a Porta Nuova.
La donna sarebbe stata la depositaria del cellulare usato dal boss detenuto Calogero Lo Presti per mettersi in contatto con i parenti e le persone fuori dal carcere. Ed è a Lo Presti che avrebbe chiesto di autorizzare il marito a potere lavorare con un Ape taxi.
Qualcuno gli aveva “dato la negativa”. Si rammarica di quel no, visto che “lavorano qua quasi tutti senza licenza e danno cento euro al mese”. Lo Presti l’avrebbe così indirizzata da Stefano Comandè, volto noto agli investigatori, tornato in carcere nel blitz. Sarebbe stato una sorta di emissario di Giuseppe Auteri che, durante la latitanza e prima di essere arrestato lo scorso marzo, avrebbe guidato il mandamento mafioso.
La donna si era detta pronta a pagare la tassa di cento euro al mese imposta dai mafiosi su ogni mezzo ed invece era arrivato il diniego. Da parte di chi? Da “tuo figlio”, appellativo che Lo Presti usava per indicare Auteri. “… e ci hai parlato con Stefano? Parla con lui e vedi cosa ti dice…”,. spiegava il boss detenuto.
Nel 2023 sarebbe arrivato il tanto agognato via libera. Le parole intercettate confermano quanto aveva messo a verbale il soldato di Porta Nuova, Alessio Puccio, una volta divenuto collaboratore di giustizia. “Io e Nino Ciresi abbiamo chiesto il pizzo alle lambrette che portano in giro i turisti per la città di Palermo”, aveva raccontato.
Anche Francolino Spadaro, mafioso della Kalsa, si era interessato alle sorti di un giovane che voleva gestire in modo abusivo un’Ape taxi. C’erano troppi abusi in circolazione, ma fecero un’eccezione. E così oltre a rotoloni, caffè, ghiaccio, pesce e frutti di mare si scopre che la mafia detta legge pure sulle lambrette.