03 Febbraio 2022, 15:09
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PALERMO – Condannare tutti e a pene più pesanti del primo grado. L’accusa avanza le richieste al processo d’appello sull’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, pestato a morte sotto il suo studio a pochi passi dal Palazzo di giustizia.
Ecco le richieste del sostituto procuratore generale Carlo Marzella e dei pubblici ministeri Francesca mazzocco e Bruno Brucoli: ergastolo per Antonino Abbate (aveva avuto 30 anni), 30 anni per Francesco Arcuri (24 anni), Salvatore Ingrassia (28 anni), 24 anni ciascuno per Paolo Cocco e Francesco Castronovo (erano stati assolti), 14 anni per Antonio Siragusa (confermata).
In primo grado la Procura aveva creduto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Chiarello, bollando come inattendibili quelle successi di Siragusa. Ora, invece, vengono prese per buone. Siragusa, però, ha scagionato Cocco e Castronovo, chiamati in causa da Chiarello: nel loro caso, secondo l’accusa, ci sarebbero elementi diversi e in aggiunta alle dichiarazioni.
A cominciare da un’intercettazione: Paolo Cocco, senza sapere di essere intercettato, diceva alla moglie: “Per il fatto dell’omicidio può essere che poi mi vengono a cercare… che c’ero pure io esce”; “Giura?”; “Giuro”. Ma che cazzo stai dicendo…”; “Il compleanno non lo festeggeremo, ti giuro…”; “Le chiavi possono buttare. Mi hai sconvolta Paolo”.
L’avvocato Enzo Fragalà si spense in ospedale il 26 febbraio del 2010, a tre giorni dall’aggressione sotto il suo studio. Secondo la Corte di primo grado, il movente dell’omicidio va rintracciato nell’attività professionale: “Intento precipuo dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra era quello di impartire una punizione al professionista, ‘reo’ di aver assunto in procedimenti penali per reati di mafia posizioni non conformi agli interessi del sodalizio e per ciò appellato quale ‘sbirro’”.
Siragusa ha raccontato che si vide con Ingrassia e Abbate prima del delitto. Quindi caricò nella sua auto la mazza con cui fu pestato a morte il povero avvocato, accompagnò la moglie al lavoro e infine si appostò nei pressi dello studio. Abbate e Ingrassia arrivarono in moto. Il primo salì sulla macchina di Siragusa. Quando videro scendere il povero penalista, così ha raccontato Siragusa, “Abbate è messo il casco, si è girato a prendere la mazza che stava sul sedile posteriore, è sceso e ha cominciato a colpirlo. Non lo vedevo bene dopo lo coltiva perché accanto a me c’era un’altra auto, vedevo la scena attraverso i finestrini delle macchine. Lui poi doveva risalire in macchina con me. Quando ha finito infatti ho aperto lo sportello ma invece è andato dritto verso Ingrassia e si è messo in sella al motore”.
I legali ritengono di potere smentire la ricostruzione di Siragusa. Sostengono che sia impossibile che non abbia visto il momento del pestaggio perché aveva la visuale piena. Per dimostrarlo hanno chiesto all’accusa di depositare le fotografie del luogo del delitto da cui emerge che il pestaggio iniziò qualche metro prima del punto in cui fu ritrovato il corpo, dopo che infierirono con una ferocia inaudita. Se è vero che Siragusa si trovava sul posto, sostiene la difesa, non può non averlo visto: o ha assistito a tutta la scena oppure non c’era.
La parola passa alle difese, poi la sentenza della Corte di assise di appello presieduta da Angelo Pellino.
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03 Febbraio 2022, 15:09