Paolo Borsellino è l'eroe di tutti | Caro Salvatore, onori il suo nome - Live Sicilia

Paolo Borsellino è l’eroe di tutti | Caro Salvatore, onori il suo nome

Il fratello risponde con veleni al nostro articolo. L'antimafia della bava alla bocca

 

Botta e risposta
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5 min di lettura

Caro Salvatore Borsellino,

Purtroppo il nostro dolente sospetto ha avuto una inscalfibile conferma: la sua. Avevamo scritto che lei, pur molto amando Paolo e molto soffrendo per la sua dipartita, non era forse riuscito ad apprendere la misura e la compostezza di un fratello di carne e di sangue che è diventato una figura familiare per tutti noi.

Avevamo scritto che il sacrilegio ideologico di certi paragoni – lei ha operato un’ardita similitudine fra suo fratello e Luigi De Magistris – e di certi abbracci – quello con Massimo Ciancimino in via D’Amelio ancora brucia – non può essere giustificato da niente; nemmeno dagli effetti di una cocente mutilazione.

In risposta al nostro articolo, nella sua pagina facebook, lei ha replicato con una indicibile litania di volgarità e una sequela di allusioni che muovono solo una profonda pietà cristiana per la sofferenza, lo sconvolgimento interiore, il disagio psicologico, probabilmente generati da un insopportabile lutto.

E non sarebbe necessario aggiungere neanche una virgola, perché il suo intervento spazza via ogni possibile equivoco su tutto, proprio su tutto. Tanto da augurarci che non sia davvero lei, Salvatore, l’autore di quel post intriso di esaltazione e maldicenze; che sia stato un suo alias, a sua insaputa, a vergarlo, qualcuno che le vuole veramente male e che non onora il suo cognome tanto riverito. Tuttavia, una postilla è doverosa. Non per lei, perché una prosa così stentorea non meriterebbe altro che una breve occhiata compassionevole o una immediata querela per diffamazione. Ma per l’affetto che dobbiamo a coloro che ci seguono e ci leggono.

Questo giornale ha assunto nei suoi confronti e nei confronti di una certa antimafia che abbiamo ribattezzato ‘da circo’ una linea esplicita. Rispetto, affetto e condivisione per la ferita provocata dall’orrore della strage. Ma anche umanissima pietà per le chiacchiere surrealiste che possono nascere da una così atroce perdita.

Abbiamo accuratamente evitato, per esempio, di tessere commenti sul ritardo – diciassette anni dopo la tragedia, la prima marcia delle Agende Rosse – con cui lei, da fratello, ha messo in campo una reazione ai terribili eventi di via D’Amelio. E abbiamo pure evitato di approfondire, più di quanto fosse necessario a rigore di cronaca, il segno di scelte contrarie e irriducibili. Da una parte lei, il fratello di Paolo, col canovaccio della sua antimafia chiacchierona, urlata e scomposta. Dall’altra, i figli di Paolo, che hanno portato il cilicio di una devastazione immane, con il loro stile impeccabile dentro e fuori le aule di giustizia.

Però, umanissima pietà non può significare reticenza. Abbiamo dunque sposato una perentoria chiarezza nel dire che l’antimafia delle agende rosse, con le sue esaltazioni, con le sue suggestioni e i suoi estremismi, è un concentrato di retorica e demagogia che ha avvelenato i pozzi del confronto su un tema talmente importante quale l’impegno e la ricerca della verità.

E la radice di quella brutta antimafia è pienamente ravvisabile nella sua replica, dove – caro Salvatore Borsellino – si tratteggia il perfetto compendio dell’agenda rossa in servizio permanente effettivo al fianco di un populismo mediatico e giudiziario che non ammette il contraddittorio e che ha bisogno di mascariare sempre, mai entrando nel merito di nulla.

Chi non la pensa come l’antimafioso da agenda rossa, in sostanza, è un mafioso o un bicchierante che alza il calice per rallegrarsi del sangue dei giusti. Nessuna opinione diversa è accettabile; appena chicchessia si discosti dal vangelo (lo scriviamo minuscolo, a ragion veduta), imposto in forza di una parentela, si accende la reazione. Ai diversamente pensanti è riservata la scomunica, con l’indice dei peccatori e il rogo delle prolusioni in odore di anatema.

Ne consegue che chiunque abbia letto con favore l’articolo di LiveSicilia vada iscritto d’ufficio nella categoria moralistica dei fiancheggiatori del male. Supponiamo anche Giovanni Paparcuri, coraggioso collaboratore di Rocco Chinnici e Giovanni Falcone, che su facebook ha apposto il suo like alla nostra riflessione. Perfino Tony Gentile, il fotografo che immortalò Falcone e Borsellino con uno scatto memorabile, che, oggi, leggendo stupefatto quel post ormai celebre, ha espresso solidarietà all’autore dell’articolo ‘dello scandalo’. E chissà, lei stesso, Salvatore, potrebbe suggerire all’Ordine dei giornalisti una revoca di incarico, visto che il sottoscritto-scrivente domani presenterà il premio nazionale dedicato alla memoria di Mario Francese, giornalista valoroso, assassinato per le sue inchieste.

Per non parlare, poi, di alcune deliranti conclusioni che si auto-elidono per la loro incongruità logica. Noi saremmo al guinzaglio dei colletti bianchi (che orribile banalità linguistica)? Noi che la mafia la raccontiamo ogni giorno grazie all’abnegazione di cronisti tanto bravi quanto consapevoli che non sfilano, a differenza di altri cantori del nulla, nelle parate, perché preferiscono lavorare a testa bassa in strada e nei tribunali? Noi, i Sancho Panza degli stragisti? Noi che, venticinque anni fa, eravamo poco più che bambini e saremmo successivamente stati i cronisti di un quotidiano che all’epoca non era nemmeno nella mente degli dei?

Caro ingegnere Borsellino, la nostra colpa è di averla definita, nel nostro titolo, un “fratello chiacchierone” che per vanagloria “spreca il nome di Paolo Borsellino”. Le sue successive parole vanno drammaticamente nel senso di questo giudizio, espresso – sia chiaro – per un religioso amore nei confronti di Paolo e dei figli che con rigore e rispetto cristallino onorano quella memoria sacra.

Le sue accuse, invece, non scalfiscono né il nostro impegno né la nostra storia. Scivolano sulle nostre spalle come l’acqua sul marmo perché sono campate in aria, cose da trattare appunto con commiserevole indulgenza. Un’ubriacatura civile agganciata a un cognome pulito e ispiratore di ben altri pensieri. Ed è questo, più di tutto, che fa male.

 

 

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