Partiti addio, fine di un’era |Meglio i fedelissimi che i voti

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30 Gennaio 2018, 06:05

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PALERMO – Quelle del 4 marzo saranno le prime elezioni politiche dell’era post-partitica. Il processo di transito dalla stagione dei partiti a quello dei gruppi organizzati attorno a un caudillo indiscusso trova a questo giro il suo completamento. Con lo sdoganamento definitivo di un sistema oligarchico di selezione dei parlamentari, fondato per lo più esclusivamente sul criterio della fedeltà. E basta scorrere rapidamente i nomi in corsa in Sicilia per rendersene conto.

Almeno un paio di partiti di una certa consistenza elettorale avevano resistito a questo processo in atto da anni in Italia. Uno era la Lega, organizzata sul territorio, con una sua classe dirigente e una struttura di potere scalabile. L’avvento di Matteo Salvini ha modificato il dna del Carroccio, tramutandolo in tempi molto rapidi in un altro partito personale (basta guardare al “caso” Maroni per avere un’idea). L’altro era il Partito democratico. Che con la formazione delle liste ha perfezionato la sua mutazione genetica in partito del leader. Una sorta di “Noi con Renzi”, scriveva ieri Antonio Polito, che punta a blindare al massimo la rappresentanza parlamentare della prossima legislatura, lasciando le briciole alle altre anime del partito, alleati inclusi.

In passato il Partito democratico, anche in omaggio all’attributo del suo nome, aveva corretto il sistema delle liste bloccate attraverso lo strumento delle primarie. Le consultazioni al gazebo, con tutti i loro limiti, rappresentavano un mezzo di legittimazione democratica dei candidati, in qualche modo limitando la natura oligarchica della designazione dall’alto . A questo giro, il Pd di Renzi s’è ben guardato da organizzare i gazebo, distribuendo ai suoi fedelissimi i posti blindati. Certo, cinque anni fa Pierluigi Bersani fece praticamente la stessa cosa, ma allora i candidati passarono almeno dal gazebo, e non solo dalle quattro mura dell’ufficio-bunker che ha partorito le candidature questa volta.

E così i mal di pancia sono esplosi in Sicilia. Con candidati mandati a fare i portatori d’acqua nei collegi uninominali – dati per persi da tutti i sondaggi – che si sono tirati indietro. Con fedelissimi blindati nei posti utili, dove non solo le minoranze ma anche le correnti e correntine alleate non hanno toccato palla (con l’eccezione dell’orfiniano Raciti). E con l’inedita mossa di cambiare i presentatori delle liste (per evitare il rischio di sabotaggio, o cosa?), lasciando fuori dalla procedura il partito regionale. Un dettaglio che già da solo fotografa il de profundis per una certa idea di partito.

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Il prezzo da pagare alle urne potrà pure essere salato. L’apparato è demotivato e spaccato, i territori lamentano di non essere stati ascoltati e in alcuni casi mortificati, qualcuno come Rosario Crocetta si muove già per fare campagna contro. Sia chiaro, avere fatto fuori una certa nomenclatura usurata e stagionata potrebbe anche portare giovamento a Renzi. E diciamolo, non è che ci siano tutti questi fuoriclasse della politica tra i parcheggiati dai disciplinati capibastone del segretario. Ma il ricambio che premia fedelissimi senza consenso (o con quattro voti, di numero) o prodotti del centrodestra che fu o magari candidati spinti dalle vecchie volpi della politica non è probabilmente il mantenimento della promessa della rottamazione.

E così non è da escludere che alle urne si possa pagare il prezzo delle scelte del segretario. Magari perdendo un po’ di voti. D’altronde, tutti i sondaggi danno il Pd a percentuali abbastanza ridimensionate rispetto al passato. Ma nel nuovo schema dei partiti personali, con un sistema elettorale studiato per garantire l’ingovernabilità, il calcolo dei leader, si chiamino Renzi o Di Maio o Berlusconi o Salvini, privilegia la fedeltà al risultato: meglio una manciata di deputati in meno ma con un plotone superblindato di fedelissimi che un gruppo più largo dove “traditori” e dissidenti possano fare le scarpe al capo. D’altronde, da Angelino Alfano all’allegra “ditta” di Bersani, D’Alema  Co., gli ultimi anni hanno vissuto proprio di questo copione. E i “capi” prendono le loro contromosse. 

È lo schema applicato, e certo non può stupire, anche da Forza Italia, che sta calando in Sicilia un carico di “parenti di” senza precedenti. Anche Liberi e Uguali non si è discostato dallo schema, evitando forme di consultazione degli elettori e imponendo dall’alto i suoi nomi. È la politica post-partitica. La fine di un’era.

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30 Gennaio 2018, 06:05

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