Pestaggi, aggressioni e razzismo | Palermo, il virus della violenza

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23 Febbraio 2020, 06:16

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Secondo la cronaca fin qui disponibile, tra aggressioni dal sapore razzista, botte per il parcheggio, pestaggi e rapine, Palermo è una città violenta. Il giudizio non deriva dalle statistiche che ognuno confronta secondo le tesi che si vogliono pregiudizialmente dimostrare, ma dalla percezione di una brutalità diffusa che costruisce un sentimento di insicurezza. E non c’è nemmeno da buttarla volgarmente in politica, nel senso del conflitto intorno alle amministrazioni pro tempore che contano, ma fino a un certo punto. Che il sole sorga o che tramonti sarà sempre colpa o merito di qualcuno, nel livello condominiale del nostro cosiddetto dibattito. Bisogna appena constatare e annotare il virus che si va diffondendo sotto gli occhi di tutti.

C’era una volta una Palermo atroce e insanguinata che conosceva i suoi confini e sapeva a memoria i passaggi perfino fisici in cui il bene si distingueva dal male. C’erano le foto quotidiane dei morti ammazzati sui giornali, il bianco e nero del sangue rappreso e, in contrapposizione, si formava una roccaforte della coscienza che, a forza di choc, imparava a uscire dal suo grigiore, per reagire. Era la capitale riconquistata dall’antimafia, tolta alla mafia, orgogliosa di un eroico e salatissimo cambiamento culturale in termini di sacrificio e di impegno. Oggi possiamo dire, nonostante alcuni vizi e certi spiacevoli refusi, che l’antimafia ha vinto, anche se la mafia non è stata sconfitta, la sua battaglia per la consapevolezza.

Tuttavia, nel frattempo, le trincee presidiate per una lotta immane, pur non essendo abbandonate, risultano un po’ sguarnite grazie all’idea, seminata a torto o a ragione, che la stagione di allarme rosso sia cessata. Così si è affievolita la luce di una rivoluzione che – anche sul bianco e nero di quel sangue rappreso – aveva svelato la necessaria rappresentazione di un mondo peggiore e preparato l’ingresso in un universo migliore, il nostro tempo.

Adesso, la confusione regna ancora sotto il cielo di una metropoli disgraziata. La violenza parla linguaggi che non capiamo, che non avevamo preso in considerazione, che sembravano estranei ai nostri stili di vita.

Secondo la cronaca fin qui disponibile, dunque, le notizie già citate offuscano la trasparenza di una Palermo accogliente, ne deturpano la bellezza e la cortesia di cui si accredita, sottintendono la crescita anche di nuove ‘Cose nostre’, spaventano con il riferimento a baby gang che scorrazzano nel centro storico per rinverdire i tragici fasti di ‘Arancia meccanica’.

Un caos che scardina la visione di un insieme unito per sua stessa vocazione, disperdendo tutto nei rivoli di territori nemici, campi contrapposti e marciapiedi che basta attraversarli per trovarsi in un luogo minaccioso e sconosciuto.

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Si impongono dialetti, differenze e tagliole, nel fuoco profano di una barbarie che ha frantumato la comunità, con i suoi ritagli parziali di una gigantesca disperazione. Forse, il compito di una politica degna di tale nome sarebbe quello di ricucire gli strappi, di rimettere insieme i cocci, per rintracciare una città ferita e rammendata, ma con una identità e una rotta decifrabili. Eppure, al momento non si intravvede, neanche all’orizzonte, un medico capace di debellare il virus di cui soffre Palermo.

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