Ed eccoci qui: un’altra storica realtà, Grande Migliore, viaggia veloce verso il suo destino d’immagine lontana. Immagine sbiadita di un ricordo. Immagine cui l’oblio del tempo sfumerà lentamente i contorni. Quando ero bambino, in quella realtà puntualmente mi ci perdevo. Bastava davvero poco. Un ciglio battuto un attimo in più rispetto agli altri, e la mano di mio padre era già lontana. Ingoiata dai passi di centinaia di gambe sconosciute. Così piangevo. Perdermi mi faceva paura. Tutto si arrestava come un sortilegio, e il tempo si fermava. Restavo immobile, sospeso, finchè qualcuno di buon cuore, e c’era sempre qualcuno di buon cuore, mi prendeva e mi accompagnava dove sapeva che avrei ritrovato la mano smarrita.
Ritrovavo mio padre, e con lui il sorriso. Uscivo da lì felice, o quantomeno contento. Per un giocattolo, o semplicemente perché non capivo ancora che ogni volta che vi sarei tornato, sarei stato un po’ più grande. Fuori da lì, infatti, il tempo tornava a scorrere veloce.
Quella magia continuava nel tempo senza perdere mai il suo fascino. A cambiare invece ero io. Al punto che un giorno, la paura di perdermi divenne voglia. Desiderio. Amore. Lo smarrimento in quel labirinto di metallo era diventato il mio rifugio più amato dalle ansie di giorni interminabili di giugno. Dalla noia delle mattine roventi e deserte di luglio. Dai pensieri dei pomeriggi affollati di domenica, quando hai in bocca il sapore dolce della festa, e il retrogusto amaro della settimana che inizia.
Mi sarò perso cento, forse mille volte lì dentro. E per ogni volta che mi sono perso, sono sicuro d’avere rallentato almeno di un secondo l’avanzare del mio cammino. Ipnotizzato dalla danza sincronica di file di tv accese; confuso nelle interminabili code alle casse; attratto dagli occhiali spessi di un vecchio che leggeva le istruzioni sulla scatola di un robot da cucina. Il mio volto aveva sostituito la mano di mio padre in quella vagabonda ricerca, ma nessuno di buon cuore stavolta avrebbe potuto aiutarmi. Al punto che forse, anche vedendolo riflesso dietro alla vetrina delle radio, magari avrei voltato lo sguardo, per paura di scoprirlo così diverso da quando ero bambino. E avevo ancora paura di perdermi.