CATANIA – “Ritengo indispensabile, nell’interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire con provvedimenti più energici perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai”. Con questa motivazione, nel primi mesi del 1939, il questore di Catania Alfonso Molina mandò sull’isola di San Domino, nelle Tremiti, 45 omosessuali catanesi. Che lì rimasero fino allo scoppio della guerra. Uno strumento repressivo voluto dal fascismo che, nello specifico catanese, si è abbattuto su uomini tra i 18 e 54 anni le cui vite sono stati interrotte in nome di un bigottismo esasperato e incoerente con se stesso.
Volti e storie riscoperti dalla piacentina Luana Rigolli, grazie a un lungo e scrupoloso lavoro d’archivio, e raccolti in un’unica mostra fotografica dal titolo “L’isola degli arrusi, 1939”. Arrusi, sì. Proprio come l’espressione, di matrice araba, utilizzata ancora oggi nel dialetto catanese per indicare i maschi passivi. Già nell’autunno del 2020 la mostra è stata allestita al centro del capoluogo etneo, ma da domani tornerà a Cefalù, nel Palermitano, presso il Museo Mandralisca inserita in un percorso che mette assieme più arti e che ha come titolo “Vite al confino”. La mostra è arricchita dai disegni dell’artista Pupi Fuschi e dalla piece teatrale dell’attore Vincenzo Crivello accompagnato dai pupi della memoria di Angelo Sicilia e Giuseppe Quolantoni.
Fermiamoci un attimo su Vincenzo Crivello, perché tutto parte da lui, dalla sua curiosità. “Questa storia l’ho scoperta per caso – racconta – quando nel 2000 andai in vacanza alle Tremiti. Mi appassionai molto all’argomento perché è un fatto praticamente sconosciuto e cominciai a fare diverse ricerche. È una storia che merita di essere raccontata”. Una pagina di storia che in un certo senso va in contrasto con quello spirito libertino, sensuale e da sempre tollerante, che è cifra della cultura catanese. Una libertà della carne che maestri del calibro di Vitaliano Brancati, Ercole Patti e Goliarda Sapienza – in qualche modo – hanno intercettato e diffuso.
Tra tutte le province italiane, Catania spiccò per la quantità di arresti effettuati. “La piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché i giovani, finora insospettati, ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale sia attiva che passiva – scriveva ancora il questore – A ciò soccorra, nel silenzio della legge, il provvedimento del Confino di Polizia, da adottarsi nei confronti dei più ostinati, fra cui segnalo l’individuo”.
Alfonso Molina, si mostrò assai scrupoloso nella sua “caccia” agli omosessuali passivi (perché la dimensione attiva non costituiva scandalo o reato). I 45 catanesi furono prima arrestati con l’accusa – appunto – di “pederastia passiva”, sottoposti a visite mediche che ne attestassero “la colpevolezza” e mandati al confino a San Domino insieme ad un’altra cinquantina di omosessuali provenienti dal resto d’Italia.
Nell’isola di San Domino i 45 catanesi rimasero confinati fino al 7 giugno 1940: lo scoppio della guerra interruppe bruscamente una condanna destinata a durare cinque anni. In quel frangente storico fu ritenuto più urgente riempire l’isola con i dissidenti politici. Ben più pericolosi per il Regime e per la sua sopravvivenza.