L’appuntamento è per il prossimo 30 maggio al Tribunale di Catania. Davanti al giudice per le indagini preliminari (gip), Giuliana Sammartino, dovranno presentarsi alcuni dei protagonisti di un’indagine nata da una serie di esposti presentati dall’avvocato Giovanna Livreri e dal professore Gianni Lapis, che hanno coinvolto imprenditori, magistrati e avvocati.
La vicenda in questione è quella della Gas spa, un gruppo che, attraverso una serie di società collegate, ha gestito in Sicilia (ma anche in altre regioni italiane), a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, i lavori per la metanizzazione. Appalti pubblici per centinaia e centinaia di miliardi di vecchie lire. Un grande affare che non è stato scalfito nemmeno dal passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Un business conclusosi con la vendita del gruppo Gas spa per 126 milioni di euro a una nota holding spagnola.
Sulla Gas spa, a partire dai primi anni del 2000, non sono mancate le indagini da parte della polizia giudiziaria. Un’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Palermo, retta allora da Piero Grasso e dal suo aggiunto, Giuseppe Pignatone, che ha coinvolto Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino (nella foto) che è stato considerato, sin dalla costituzione della società e per oltre 20 anni, socio occulto della Gas spa. Questa società ha visto sempre comproprietari delle azioni e quote societarie due raggruppamenti di riferimento: il gruppo Lapis e il gruppo Brancato che per 20 lunghi anni si sono scambiati tra loro ruoli di vertice, responsabilità aziendali, quote e azioni in un unico indiviso. Il riferimento è al già citato professore Lapis e a Ezio Brancato, un funzionario regionale che, per anni, è stato al vertice del gruppo Gas spa.
Nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria sul ‘tesoro’ di Vito Ciancimino, avviata nel 2002 a seguito dei pizzini ritrovati al collaboratore di giustizia, il mafioso Antonino Giuffrè, i magistrati di Palermo (gli stessi oggi indagati a Catania), determinavano una sostanziale sperequazione di posizioni tra i due gruppi (cioè Lapis e Brancato), disponendo, nel 2005, il sequestro della metà delle quote di denaro (circa 60 milioni di euro), provenienti dalla vendita della Gas agli spagnoli relative al solo gruppo Lapis. I magistrati inquirenti ritenevano tali quote le sole di pertinenza dell’erede dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, padre di Massimo Ciancimino. Lo stesso provvedimento non veniva disposto verso il gruppo Brancato, a detta di Massimo Ciancimino prestanome del padre Vito nella Gas spa e di fatto fin lì esclusa completamente dal novero degli indagati e dalle indagini.
Fino a quel momento il gruppo Lapis e il gruppo Brancato erano stati un tutt’uno. Nella primavera del 2005 i due gruppi storici della Gas spa imboccheranno strade diverse. In particolare, le eredi Brancato prenderanno le distanze da Lapis, arrivando anche ad accusare di fatti di reato il loro ex socio, cioè lo stesso Lapis. L’apice della lite tra i due si riassume in una lettera del 12 giugno 2006 inviata da Gianni Lapis a Maria D’Anna in cui ricorda le obbligazioni nei confronti del socio occulto Ciancimino. La D’Anna, a quel punto, denuncia il suo ex socio Lapis e Massimo Ciancimino erede di Vito Ciancimino. Maria D’Anna, che ha ereditato dal marito, il già citato e defunto Ezio Brancato, la gestione del gruppo insieme con la figlia, Monia Brancato, denuncia anche l’avvocato Livreri (il processo a carico dell’avvocato Livreri è in corso). Quest’ultima viene coinvolta perché, nella qualità di legale dei Brancato, è a conoscenza della vicenda del socio occulto e potrebbe usarla nel difendere Lapis nel processo del ‘tesoro’ di Ciancimino.
Dopo essere stata denunciata da Maria Brancato, l’avvocato Livreri, libera del vincolo del segreto professionale, ha rappresentato, con una serie di esposti alla magistratura, alcuni fatti e circostanze rilevanti sotto il profilo penale. Argomenti che chiamano in causa le stesse Maria D’Anna, Monia Brancato, alcuni magistrati che hanno indagato sulla Gas spa, alcuni avvocati e un gruppo di giornalisti che avrebbero ricevuto intimi convincimenti d’indagine da parte dei magistrati che procedevano contro l’avvocato Livreri.
Tra i magistrati chiamati in causa dall’avvocato Livreri ci sono Giuseppe Pignatone (oggi procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria), Michele Prestipino Giarritta (oggi pm a Reggio Calabria), Sergio Lari (oggi procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta) e i pm presso il Tribunale di Palermo, Lia Sava e Roberta Buzzolani. Un altro magistrato indicato nei suoi esposti dall’avvocato Livreri è Giustino Sciacchitano, già in servizio presso il Tribunale di Palermo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 (proprio quando la mafia ammazzava l’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa) e oggi magistrato presso la Dda a Roma. Per la cronaca, il figlio di Giustino Sciacchitano, Antonello, ha sposato Monia Brancato ed è consuocero della Maria D’Anna Brancato.
Giusto Sciacchitano, indicato dalla stessa D’Anna come persona a conoscenza di tutte le loro vicende e suo grande consigliere, è una figura che ha sempre aleggiato intorno alla vicenda del gruppo Gas spa e viene pesantemente tirato in ballo dallo stesso Massimo Ciancimino nel processo al generale dei Carabinieri, Mario Mori.
Come già ricordato, gli esposti dell’avvocato Livreri riguardano anche due avvocati: Santi Magazzù e Giovanni Di Benedetto già legali di Maria D’Anna Maria. Magazzù e Di Benedetto, dopo avere dato conforto legale alla stessa D’Anna a denunciare la collega avvocato Livreri, ne sarebbero divenuti i testimoni di parte nel processo contro lo stesso avvocato Livreri. Gli esposti dell’avvocato Livreri sono finiti prima alla Procura di Caltanissetta e poi, per competenza funzionale, alla Procura di Catania. Della vicenda si è occupato il pubblico ministero, Antonino Fanara, che il 26 febbraio scorso ha chiesto l’archiviazione. Una richiesta che, di fatto, non è stata accolta de plano dal gip, Giuliana Sammartino. Ed è stato proprio il gip, come già ricordato, a fissare l’udienza per il prossimo 30 maggio, convocando dinanzi a sé tutti gli indagati.
A rigor di codice, in assenza di formale opposizione e in presenza di notizie di reato infondate il gip sarebbe stato libero di disporre l’archiviazione per tutti i personaggi tirati in ballo dall’avvocato Livreri. Almeno stando alla lettura del codice di procedura penale. Ma in caso di ragionevole dubbio di sussistenza di fondatezza della notizia di reato (a maggior ragione se in presenza di una richiesta di archiviazione che, nel caso in specie, è disseminata di dubbi circa la sussistenza di innocenza degli indagati, tanto da intervenire – come si legge testualmente – non certo perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato ma, invero, per l’attuale inidoneità dei mezzi di prova fin qui raccolti a sostenere l’accusa in giudizio), il gip, come già ricordato, ha convocato gli indagati dinanzi a sé in udienza camerale. Pertanto gli scenari potrebbero essere due. Primo scenario: il gip invita il pubblico ministero a indagare ancora sulla vicenda. Secondo scenario: lo stesso gip dispone direttamente il rinvio a giudizio. A conti fatti, giunti a questo punto, non possono essere esclusi sviluppi clamorosi.
Negli esposti inviati alla magistratura l’avvocato Livreri si è dichiarata parte offesa, ovvero danneggiata dai reati di calunnia, diffamazione, minacce, false informazioni al pm, violazione del segreto istruttorio e diffamazione a mezzo stampa. La legale non ha risparmiato critiche, anche serrate, ai magistrati. Ha sempre stigmatizzato il comportamento della Procura di Palermo – retta allora da Piero Grasso con Giuseppe Pignatone aggiunto – che non avrebbe proceduto verso la famiglia Brancato. Tali critiche sono diventate accuse vere e proprie da parte di Massimo Ciancimino, più volte sentito dalla stessa Procura di Catania in questa stessa indagine. E, in effetti, nella richiesta di archiviazione lo stesso pm di Catania, Antonino Fanara, riconosce che qualcosa, negli uffici della Procura di Palermo, non sarebbe andata nel verso giusto. Scrive infatti Fanara nella richiesta di archiviazione: “Appare provato che… è certamente vero che le indagini del procedimento penale per la per la ricostruzione del cosiddetto tesoro di Vito Ciancimino sono state indirizzate nei confronti di Gianni Lapis e non di Ezio Brancato o delle sue eredi; è certamente vero che, come avviene in ogni indagine penale e ancor più in indagini che durano anni e che appaiono complesse (sia per la quantità di fonti di prova raccolte, che per le persone coinvolte che per il fatto di avere ad oggetto operazioni finanziarie di difficile comprensione e spesso compiute anche all’estero), sicuramente i pubblici ministeri hanno omesso di approfondire degli elementi di prova che avevano raccolto e che non sempre vi è stato pieno accordo tra alcuni ufficiali della polizia giudiziaria delegata, i loro superiori e i magistrati titolari dell’ indagine; è certamente vero che Ezio Brancato prima e Monia Brancato poi erano persone che il magistrato Giusto Sciacchitano ben conosceva e frequentava, come ammesso dallo stesso nella memoria in atti; appare, poi, verosimile che le eredi Brancato, anche a prescindere da quanto potesse avergli rappresentato la Livreri, fossero a conoscenza di un’indagine in corso che coinvolgeva società di cui le stesse avevano rilevanti partecipazioni azionarie; basti pensare che le stesse Brancato venivano assunte a sommarie informazioni proprio in relazione a tali fatti. Ma oltre a questo vi è ben poco d’altro”.
L’avvocato Livreri, consapevole della circostanza di legge per cui il gip ha autonomia nell’accogliere o disattendere la richiesta di archiviazione del pm, non si è opposta alla richiesta di archiviazione formulata dallo stesso pm. Si è limitata a presentare una corposa memoria documentata. E la stessa cosa ha fatto l’avvocato Gianni Lapis, altro protagonista storico della Gas spa.
Sempre per la cronaca, anche altri magistrati del Tribunale di Palermo hanno indagato – e indagano – sulla vicenda della Gas spa. Si tratta di Antonino Di Matteo, Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato. Per arrivare forse a conclusioni un po’ diverse da quelle dei colleghi che facevano capo al pool di Piero Grasso. Tant’è vero che Maria D’Anna, vedova Brancato, e la figlia Monia sono indagate a Palermo per mafia e riciclaggio per fatti relativi alla Gas spa e per calunnia e diffamazione nei confronti dell’avvocato Livreri.
Una storia lunga, tormentata e complessa, insomma. Dove le denuncie si intrecciano. Sullo sfondo, forse la più importante – e lucrosa – avventura imprenditoriale andata in scena in Sicilia negli ultimi trent’anni. Una storia dove gli interessi dell’imprenditoria si saldano a quelli della politica. Con la mafia pronta a ‘bagnare il becco’ in una girandola di appalti miliardari. E con un finale ancora tutto da scrivere.