Quelle relazioni tossiche: quando chiamarlo amore non si può

Quelle relazioni tossiche: quando chiamarlo amore non si può 

I recenti e tragici fatti di cronaca
IL PARERE DELLA PSICOLOGA
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5 min di lettura

L’Amore è un’esperienza emotiva e relazionale in cui due vite psichiche si incontrano e si intrecciano, all’interno della quale i due partner hanno l’opportunità di sperimentare uno spazio vitale fatto di libertà, autonomia e soprattutto rispetto reciproco. Un amore “sano” non prevede infatti in alcun modo il maltrattamento e/o la distruzione dell’oggetto amato, ma anzi ne tutela l’integrità e ne garantisce la protezione. 

Valenza tossica

In una relazione positiva la coppia sa gestire anche l’aggressività che inevitabilmente si presenta e che è intrinseca al rapporto stesso, asservendola alla complicità e all’intimità, sia in ambito emotivo che sessuale. 
Quando purtroppo tutto ciò non si verifica a causa di motivi legati soprattutto a specifiche configurazioni di personalità di uno dei due partner (quasi sempre l’uomo) che mette in atto comportamenti di controllo e dominio, sfruttamento e, nei casi piú estremi, di violenza fisica, il rapporto assume una “valenza tossica” che finisce con l’annientare qualsiasi senso di libertà, crescita e piacere reciproci.

È impensabile che certe donne subiscano violenza proprio dall’uomo da cui non avrebbero mai pensato di riceverla, da colui che avrebbe dovuto piuttosto proteggerle e su cui hanno investito il loro amore. 
Nel non voler accettare un tradimento cosí grande sembrano volergli dire: “un estraneo può farmi del male, ma non tu.. perché sei l’uomo a cui mi sono legata in nome di un sentimento che credevo fosse Amore”.

Voltare pagina

Ma ciò che stupisce ancora di piú è il fatto che in queste relazioni amorose che non sono ricambiate, che fanno soffrire e che si basano sulla violenza, riesca difficile concludere e voltare pagina.

Nella maggior parte dei casi ci si culla nell’illusione e nella speranza che prima o poi tutto si sistemerà, che prima o poi lui non metterá piú in atto certi comportamenti e che cambierà in meglio. Allora la parola fine viene sempre più evitata e allontanata e si continuano ad accettare sofferenza, angoscia e paura, rimanendo legati a quel filo di speranza che diventa sempre piú sottile. 

Ed intanto il tempo passa e tutto ciò logora ogni parte vitale, annichilisce ogni piacere, spegne qualsiasi emozione  e sentimento positivi ..fino ad arrivare, in alcuni casi, ai drammatici esiti che le notizie di cronaca ci presentano oramai quasi quotidianamente.

“Se la cercano”

C’è chi sostiene, in modo sgradevolmente provocatorio, che certe donne “se la cerchino”; è come dare in qualche modo una colpa a chi per ingenuità non ha saputo riconoscere l’”uomo nero”. Ma gli uomini neri non mostrano il loro colore quando si approcciano: sono inizialmente teneri e apparentemente disarmati.

La violenza infatti non si manifesta immediatamente in modo chiaro ed esplicito, ma compare in un secondo momento all’interno della relazione, e diventa un’escalation: con l’aumentare del tempo si intensifica in frequenza e in modalità. É dunque difficile prevederla.

C’è persino chi arriva a dire che le donne che subiscono violenza quasi “se la meritino”, e che nel loro ingenuo fidarsi ci sia in qualche modo segnato il loro stesso destino. Ma in una relazione d’amore dovrebbe essere naturale e normale affidarsi all’altro; potrebbe venire spontaneo quindi “non dare peso” inizialmente ad eventuali piccoli episodi lì per lì considerati insignificanti. 

Movimenti di sensibilizzazione in quest’ambito invitano invece a prendere in considerazione, “sin dal primo momento”, ogni minima screpolatura del rapporto causata da certi comportamenti ambigui ed ambivalenti che in fondo non lasciano poi cosí serene e che, pertanto, dovrebbero sin da subito far riflettere.

Non è amore

Quel che è certo, senza una minima ombra di dubbio, è che in tutti questi casi di relazioni sentimentali che intrappolano in situazioni coercitive totalizzanti ed in cicli di violenza ricorsivi, “chiamarlo Amore non si può!”

I legami patologici nei quali queste donne rimangono imbrigliate finiscono così, giorno dopo giorno, per uccidere soprattutto la loro anima, a causa di condotte abusanti ricorsivamente messe in atto, che mirano alla soppressione psichica, prima ancora che fisica, del soggetto a cui sono destinate.

Chiedere aiuto

Ecco che allora, in questi casi, appare fondamentale in primo luogo prendere consapevolezza della situazione in cui ci si trova, per provare a “chiedere aiuto”.

Per riuscirci bisognerá sfidare i sentimenti di paura, vergogna, ed i sensi di colpa che immobilizzano, impedendo di cercare un supporto al di fuori della relazione disfunzionale, e facendo rimanere letteralmente paralizzate nella presa di decisioni ed incapaci di proteggersi.

Tutto ciò nel tentativo disperato di tenere spesso in piedi una “finta armonia” ad un prezzo molto alto, che nelle situazioni più tragiche costa la vita stessa.

Cambio di atteggiamento

Per uscire dalla vittimizzazione risulta indispensabile che le donne abusate modifichino, il più presto possibile, alcuni atteggiamenti: 

– dal mantenere il silenzio per proteggere lui, al “cominciare a parlare per proteggersi”;

– dall’essere sole e senza appoggi, al “ricollegarsi con parenti, amici e figure specializzare che possono aiutare a tirarsi fuori” (tra cui psicologi e psicoterapeuti); 

– dall’avere paura, essere insicure e dipendenti,  all’“essere forti, coraggiose ed autonome”.

È questo il processo di “empowerment” (acquisizione di potere) che si attiva già a partire dalla denuncia della situazione di violenza (in un primo momento anche ai propri familiari), per arrivare ad appositi percorsi psicologici, attraverso i quali poter acquisire “la forza ed il coraggio” per modificare e/o lasciare le relazioni abusive.

Cosa fare

Quel che si deve sempre tenere in mente sono i seguenti imperativi:

Una donna sceglie un uomo con cui avere una relazione, mai la violenza.

Non ci sono giustificazioni per le violenze!

È responsabile colui che compie il comportamento violento, mai chi lo subisce.

Le donne vittime di violenze possono, col giusto aiuto e con un adeguato supporto, uscire da tali situazioni e “riscrivere la propria storia”.

Tutto ciò attraverso un lavoro che interrompa innanzitutto la dipendenza che queste donne hanno nei confronti dei partner che le maltrattano, che consenta un recupero graduale della propria autostima e la ripresa di un buon giudizio di sé stesse, e che permetta l’elaborazione delle dinamiche che le hanno condotte all’interno delle relazioni patologiche, in modo da poter acquisirne la giusta consapevolezza, anche e soprattutto, per l’evitamento di simili situazioni future.

[La dott.ssa Pamela Cantarella è una Psicologa Clinica iscritta all’Ordine Regione Sicilia (n.11259-A), in formazione presso Scuola di Psicoterapia ad orientamento Sistemico-Relazionale]


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