Da Figuccia a Bonafede | Un anno e mezzo di caos

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18 Giugno 2019, 05:59

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In principio fu Vincenzo Figuccia. Fu lui, assessore per pochi giorni, a inaugurare un anno e mezzo di pasticci. Dimissioni, revoche e cacciate hanno accompagnato in questo anno e mezzo la partita sulle nomine nel governo e nel sottogoverno siciliano. Fino all’ultimo caso: prima la scelta tra tanti curriculum, poi la marcia indietro sul nome di Ester Bonafede. Con tanto di strascichi politici, accuse e fibrillazioni tutte interne alla maggioranza.

E non potrebbe essere altrimenti. Perché al di là degli assessorati di competenza o dei ruoli istituzionali ricoperti, il vero potere è sempre stato quello di scegliere gli uomini e le donne. Di distribuire incarichi e poltrone. E dietro il ruolo formale delle istituzioni (in molti casi, il socio è la Regione), c’è il gioco dei partiti.

Gli addii degli assessori

Come detto, le prime dimissioni arrivarono all’alba del governo Musumeci. Dopo settimane di incontri, vertici, colloqui, l’Udc aveva deciso di puntare su Vincenzo Figuccia all’Energia. Ma pochi giorni dopo, il deputato regionale dirà: “No grazie”. Aggiungendo poi motivazioni che non chiariranno molto: “Si tratta di una decisione – disse – maturata dopo profonda e attenta riflessione, ponderata su aspetti di carattere politico e supportata da valutazioni di natura tecnica e personale”. Servirà qualche settimana per l’insediamento a tutti gli effetti del nuovo assessore Alberto Pierobon. Di lì a poco, però, sarebbe andato via anche Vittorio Sgarbi, eletto in parlamento. In questo caso, però, l’abbandono precoce della giunta era ampiamente annunciato. Recenti invece le dimissioni di Sandro Pappalardo, nominato all’Enit. E così, anche al Turismo servirà un nuovo assessore: molto probabilmente sarà Manlio Messina.

Dall’interporto all’aeroporto 

Ma di addii se ne registrano, in questo primo terzo di legislatura, anche nel sottogoverno. Alla società Interporti, in effetti, gli amministratori arrivano e vanno via come navi: quattro amministratori in quattro mesi all’inizio del 2018: a febbraio era andato via Alessandro Albanese. Al suo posto era arrivata Carmen Madonia che ha deciso di dimettersi il 18 aprile. È toccato quindi a Benedetto Torrisi, docente universitario: nominato il 30 aprile, rinuncia all’incarico per ragioni personali nemmeno un mese dopo, il 28 maggio. Passano quindi altre due settimane di “vuoto” ed ecco arrivare il “secondo” Torrisi, Rosario Torrisi Rigano. Quest’ultimo è molto vicino a Forza Italia, nella scorsa legislatura è stato anche consulente del gruppo parlamentare all’Ars.

Dall’interporto all’aeroporto, poi, il passo è breve: Paolo Angius, il presidente di Airgest – la società che gestisce lo scalo di Birgi – ha rimesso il proprio mandato pochi mesi fa nelle mani di Musumeci, dopo la notizia di una indagine che lo riguarda e che è legata a fatti di qualche anno fa. Ma le dimissioni sono, al momento, congelate. Se ne è andata sbattendo la porta, invece, la componente del cda Elena Ferraro: in passato vicina al governatore Crocetta e passata poi al fianco di Musumeci. Il motivo? Per la dimissionaria, la colpa è della Regione. Mentre qualche detrattore aveva sollevato dubbi sui titoli.

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Il caos di Riscossione Sicilia 

Ma il caos è evidente anche altrove, in società assai delicate come Riscossione Sicilia. Poche settimane dopo la loro nomina sono “fuggiti”, stando alle spiegazioni ufficiali, per la “gravissima situazione economica e amministrativa nella quale versa la società” i tre amministratori inizialmente scelti per guidare Riscossione Sicilia: Domenico Achille, Michelangelo Patanè e Graziella Germano. Serviranno mesi per giungere all’attuale cda guidato da Vito Branca, anche perché altri due nomi individuati inizialmente dal governo (quelli di Massimo Giaconia, commercialista e fiscalista internazionale, e Gaetana Palermo, avvocato) erano stati bocciati dalla commissione affari istituzionali all’Ars.

Iacp: flop nomine e una inchiesta

Dove hanno finito per naufragare anche altre nomine assai discusse che daranno vita anche a una indagine della magistratura a carico dell’assessore Regionale Marco Falcone e dell’europarlamentare in pectore Giuseppe Milazzo: erano tutti uomini di partito o fedelissimi. Saltate, quindi, le designazioni di Nunzio Moschetti, uomo vicino a Forza Italia e già consigliere comunale a Palermo per il Pdl. A Catania stop ad Angelo Sicali, fedelissimo del presidente della Regione Nello Musumeci, che oggi fa parte dello staff del governatore. È stato vicepresidente della Provincia di Catania ai tempi in cui a guidarla era Raffaele Lombardo. A Messina salta la nomina di Giuseppe Calabrò, avvocato e già presidente della Camera penale di Barcellona Pozzo di Gotto. A Trapani niente incarico per Paolo Ruggeri, per tanti anni punto di riferimento nella provincia di Forza Italia, poi transitato nel movimento di Musumeci. All’inizio dell’anno è stato anche nominato coordinatore provinciale di Diventerà Bellissima. L’avvocato Nicoletta Piazzese, candidata per Forza Italia alle ultime Politiche nel collegio uninominale del Siracusano e vicina all’ex ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, “tagliata” fuori dalla nomina al vertice dello Iacp di Siracusa.

Aran, Esa, Sas: dimissioni e cacciate 

Mesi di cambi e rotazioni vorticose, favorite anche da due elementi: lo spoils system messo in atto legittimamente dal governo Musumeci e la scelta dello stesso governatore di operare nomine “temporanee” in concomitanza delle elezioni politiche. All’Aran, intanto, diceva “no grazie” anche Francesco Verbaro, già consulente dell’assessore per la Funzione pubblica Bernadette Grasso. La rinuncia per “sopraggiunti incarichi a Roma”. E così, per la successione di Claudio Alongi, revocato dal nuovo governo, è stato scelto l’ex assessore Accursio Gallo. È durata appena quattro mesi, invece, l’avventura di Massimo Dell’Utri, avvocato molto vicino all’ex ministro Saverio Romano, alla guida di Sicilia Digitale (l’ex Sicilia e-servizi). L’addio, formalmente per questioni personali e di lavoro, sarebbe legato alla scarsa attenzione del governo regionale nei confronti dell’azienda, praticamente tagliata fuori da Agenda digitale.

Si è dimesso, ma non senza polemiche, dalla guida dell’Esa Nicola Caldarone, uomo di Forza Italia, e la stessa sorte è toccata a Marcello Caruso, cacciato addirittura in diretta televisiva da Gianfranco Micciché: “Se non sa fare il presidente si dimetta”. Il casus belli, le assunzioni in Sas dei lavoratori delle altre partecipate. E le dimissioni di Caruso arriveranno presto, con tanto di uscita anche dagli organismi di Forza Italia. Non sarà, come si è visto, l’ultima polemica. Come nel caso di Sas, anche per l’Orchesta sinfonica si è assistito al braccio di ferro dei partiti, dietro la formale titolarità della Regione, cioè del governo. Micciché e Romano, l’Udc e Diventerà Bellissima, tutti divisi attorno alla nomina di Ester Bonafede. L’ultimo caso, in un anno e mezzo di caos.

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18 Giugno 2019, 05:59

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