CATANIA- La sentenza di condanna a 12 anni per mafia a carico di Sebastiano Scuto è stata annullata dalla Cassazione e rinviata a un nuovo giudice d’Appello. In particolare è caduto il troncone che aveva fatto lievitare la pena da 4 a 12 anni per associazione mafiosa. Si tratta dei rapporti, contestati dal Procuratore Generale Siscaro, tra Scuto, uomini vicini a Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo per la gestione di centri commerciali a Palermo. La Suprema Corte ha disposto l’annullamento della confisca dei beni all’imprenditore etneo. Ma per un troncone del patrimonio di Scuto è necessario attendere un’ulteriore pronuncia della magistratura.
La Cassazione ha anche rigettato il ricorso della Procura Generale sul caso di estorsione contestato a Scuto e il ricorso contro l’assoluzione del marescialle Orazio Castro (vedi sotto).
Sull’ex “re dei supermercati” originario di San Giovanni La Punta (CT), pendeva una condanna a 12 anni per mafia, arrivata in Appello lo scorso 18 aprile. Una vicenda processuale che con i suoi continui colpi di scena prosegue da oltre un decennio. I numeri d’altronde parlano chiaro. Quasi duecento udienze nei due gradi di giudizio ( in primo era stato condannato a 4 anni e 6 mesi), decine di collaboratori di giustizia proveniente da ogni area criminale sentiti a processo e una quantità abnorme di faldoni che custodiscono la storia dell’imprenditore partito nella sua scalata da una piccola bottega di salumi alle pendici dell’Etna e diventato in pochi anni il leader siciliano della grande distribuzione alimentare targata “Aligrup spa”.
Per l’ultimo grado di giudizio Scuto ha deciso anche di affidarsi a un pezzo da novanta dell’avvocatura italiana. Oltre allo storico legale, il Professore catanese Giovanni Grasso, davanti i giudici ermellini ci sarà l’avvocato Franco Coppi del foro di Roma. L’imprenditore puntese è soltanto l’ultimo nome eccellente di una lista, quella dei clienti dell’avvocato, che al suo interno annovera personaggi di primo piano della storia italiana: Silvio Berlusconi nel processo Mediaset dello scorso agosto conclusosi con la condanna dell’ex Presidente del Consiglio, Sabrina Misseri nel delitto di Sara Scazzi ad Avetrana, i dirigenti della Thyssenkrupp fino a Giulio Andreotti nel processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Dopo la condanna in appello a 24 anni insieme al boss di Cinisi Tano Badalamenti, la Cassazione accolse il ricorso dell’avvocato Coppi annullando la sentenza senza rinvio.
Al ricorso di quasi mille pagine depositato dalla difesa, in cui vengono evidenziate i “vizi logici che correttamente risolti daranno prova dell’inesistenza delle prove di colpevolezza”, si era aggiunto anche quello dell’accusa. Il Procuratore Generale Gaetano Siscaro aveva infatti ritenuto di affidarsi alla Cassazione per una vecchia estorsione, accusa per cui Scuto è stato assolto in entrambi i gradi di giudizio, perpetrata tra il 1989 e il 1990, ai danni della ditta di prodotti caseari dei fratelli Zappalà. Una decisione, quella della prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania presieduta da Ignazio Santangelo, considerata “Erronea e illogica” in ordine “alle risultanze di fatto ed alle emergenze probatorie acquisite in atti con particolare riferimento alle dichiarazioni delle parti offese”.
Secondo la tesi accusatoria, come ribadito durante le udienze del processo d’appello, Salvatore Zappalà dopo aver ricevuto minacce e danneggiamenti si sarebbe rivolto all’amico Sebastiano Scuto, che avrebbe consigliato di “mettersi a posto” pagando poiché anch’egli era vittima di estorsioni. Una sorta di tramite bollato dall’accusa come “l’amico buono” che avrebbe però fatto gli interessi unicamente dei Laudani perché, scrive il Pg riferendosi a Scuto “organico al clan a pieno titolo e avendo un ruolo preminente non pagava ovviamente alcun pizzo”. A riferire sulla vicenda sono stati anche due collaboratori di giustizia. Secondo Testa e Castro sarebbero stati proprio Scuto e l’ex costruttore Carmelo Rizzo, assassinato e bruciato nel 1997, a fornire in passato alla cosca i numeri telefonici e le indicazioni su imprenditori e commercianti da sottoporre ad estorsione. Accuse sempre smentite da Scuto che si è dichiarato a più riprese vittima della mafia. A non convincere il Pg Gaetano Siscaro però erano anche le dichiarazioni dei fratelli Salvatore e Luigi Zappalà. I loro ricordi tra la fase d’interrogatorio e quella processuale avrebbero infatti subito delle notevoli alterazioni proprio sul ruolo di Scuto. Secondo i giudici di entrambi i processi a mancare è però il profilo soggettivo e cioè la mediazione dell’imprenditore puntese. E’ proprio questo uno dei pilastri che è stato annullato dalla Cassazione.
Ad attendere con il fiato sospeso il verdetto della Cassazione non c’era solo Scuto ma anche l’ex Maresciallo dei Carabinieri Orazio Castro, difeso dall’avvocato Tommaso Tamburino. L’ex membro dell’Arma in passato era stato comandante della stazione di Aci S. Antonio, piccolo centro limitrofo a San Giovanni La Punta, il regno del clan mafioso dei Laudani. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, Castro è stato assolto in primo e secondo grado perché “il fatto non sussiste”. Con l’annullamento della sentenza d’Appello, l’assoluzione del maresciallo Castro diventa definitiva, confermando gli elementi sostenuti in difesa dall’avvocato Tommaso Tamburino: “Questa vicenda giudiziaria -spiega Tamburino a Livesicilia- è durata ben 13 anni in cui il maresciallo Castro, nonostante le accuse di pentiti è stato sempre dichiarato innocente. La sua vita è stata stravolta, la sua carriera di fedele servitore dello Stato è stata troncata per colpa di questo processo e lui è stato costretto ad abbandonare l’Arma giovanissimo”
A questo punto i tempi si allungano, ed è difficile dire quando arriverà la decisione d’Appello.