Cronaca

Sentenza Saguto: “Patto corruttivo permanente e soldi nel trolley”

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16 Aprile 2021, 03:28

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PALERMO – Non era un’associazione a delinquere, ma un patto corruttivo permanente. Gli imputati, a cominciare da Silvana Saguto, avevano “il loro baricentro attorno al perno del reato corruttivo”. Favori, assunzioni e soldi in contanti.

Il Tribunale di Caltanissetta, presieduto da Andrea Catalano (giudici a latere Salvatore Palmeri e Valentina Balbo) ha depositato la motivazione della sentenza con cui lo scorso ottobre ha condannato, su richiesta dei pubblici ministeri Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti, tra gli altri Saguto a 8 anni sei mesi e l’amministratore Gaetano Cappellano Seminara a 7 anni e sei mesi di carcere. (Leggi qui tutte le condanne).

Di corruzioni all’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ne sono state contestate parecchie. Al vaglio dei giudici ha anche retto il contestato episodio dei 20 mila euro consegnati una sera di giugno 2015 da Cappellano Seminara dentro un trolley.

In oltre 1300 pagine i giudici ripercorrono una stagione buia per la magistratura siciliana. Silvana Saguto, la donna tutta d’un pezzo che sequestrava i beni ai mafiosi e agli imprenditori che avrebbero costruito le loro fortune all’ombra di Cosa Nostra, fu travolta dallo scandalo. Oggi è stata radiata dalla magistratura.

La sua sarebbe stata una duplice colpa: “Grave distorsione – per tempi, modalità e protrazione delle condotte – delle funzioni giudiziarie da avere arrecato, oltre che danni patrimoniali ingentissimi all’erario e alle amministrazioni giudiziarie, anche un discredito gravissimo all’amministrazione della giustizia”.

“Ciò che manca nel caso di specie è l’accertamento dell’esistenza di una struttura organizzativa idonea a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira – si legge nella motivazione sul tema dell’associazione a delinquere -. Nel caso di specie i pretesi reati fine o scopo dell’associazione hanno la caratteristica di essere commessi ciascuno di essi in adesione a un patto corruttivo di scambio di reciproche utilità tra i concorrenti, senza che mai si possa individuare l’appartenenza ad un gruppo stabile e strutturato”.

Cappellano Seminara divenne il recordman delle amministrazioni giudiziarie. Veniva scelto con provvedimenti “anti doverosi” e “a prescindere da ogni valutazione circa la convenienza e l’opportunità per la realizzazione dei fini propri della procedura”.

La competenza dell’avvocato e della struttura che aveva organizzato per gestire i beni non viene messa in discussione, anzi viene certificata dal Tribunale. Poco importa, però. La sua competenza passa in secondo piano di fronte al patto corruttivo.

Cappellano, scrivono i giudici, otteneva gli incarichi perché così avrebbe ricambiato il favore al giudice: “Le risultanze delle indagini preliminari hanno dimostrato come la principale fonte di reddito di Caramma Lorenzo (ingegnere e marito di Saguto) negli anni dal 2006 e sei al 2015 siano proprio i compensi corrisposti da Cappellano Seminara quale libero professionista e quale amministratore giudiziario”.

Il passaggio è chiaro: “Seminara non riceveva lucrosi incarichi dalla Saguto per le sue indiscusse capacità professionali quanto invece perché lo stesso poteva ricambiare attraverso il conferimento di incarichi al marito e attraverso le dazioni di utilità indebite”.

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Fra queste, anche i soldi in contanti su cui il collegio non ha dubbi: non erano “documenti” come hanno cercato di spiegare per difendersi, ma denaro. E lo dimostrerebbe il fatto che “in ogni conversazione manca una pur minima indicazione idonea a specificare di quali documenti si trattasse, di quale procedura di prevenzione si stesse parlando”.

Erano soldi versati al giudice in un momento i cui i bilanci familiari erano in rosso, per tamponare i debiti accumulati: “Soldi dati come fonte di approvvigionamento di denaro per far fronte alla crescente situazione di indebitamento”.

Piccole e grandi corruzioni, come le cassette di frutta omaggiate dal professore della Kore di Enna, lo stesso docente che avrebbe preparato la tesi di aurea al figlio del giudice. Provenzano otteneva incarichi dagli amministratori nominati da Saguto e in cambio si sarebbe adoperato per “spianare la strada universitaria del figlio Emanuele e aiutarlo a raggiungere l’agognato traguardo della laurea”.

Le amministrazioni giudiziarie sarebbero diventate agenzie di collocamento di amici, parenti o persone segnalate dal giudice e dagli stessi amministratori. Una sorta di “pizzo per il giudice” lo definiva Walter Virga nel caso dell’assunzione della fidanzata del figlio del magistrato. Il tutto alimentato da un vorticoso giro di atti falsi.

Al centro del processo anche i criteri di scelta degli amministratori, come quella che portarono Walter Virga, avvocato e figlio del giudice Tommaso, alla gestione dei beni Bagagli e Rappa. Saguto ad un certo punto mise in dubbio le capacità del giovane Virga, ma “non si può ritenere che al momento della nomina Silvana Saguto abbia consapevolmente affidato un compendio in sequestro ad un soggetto incapace e cioè Walter Virga”.

Insomma “non c’era consapevolezza della sua inesperienza al momento della nomina” e neppure si può dire che lo abbia nominato “in quanto figlio del collega in presenza di un interesse proprio che avrebbe dovuto indurla alla astensione”. Virga senior (assolto in separata sede dall’ipotesi di abuso d’ufficio) e Saguto erano della stessa corrente della magistratura e l’accusa ipotizzava che il presidente delle Misure di prevenzione cercasse copertura davanti al Csm in caso di procedimento disciplinare.

Diverso è il caso del sequestro Rappa “dov’è la scelta dell’amministratore sarebbe dovuta ricadere su uno o preferibilmente su più soggetti dotati di un profilo manageriale consolidato sia in campo commerciale che su quello radiotelevisivo. Saguto nominando un amministratore palesemente inadeguato ha dimostrato di avere tenuto conto nell’adottare l’atto discrezionale di scelta un interesse proprio rappresentato dalla necessità di compiacere Tommaso Virga che per lei era un costante punto di riferimento e che le era stata vicina quale componente del Csm. Voleva creare un legame forte fra lei e Tommaso Virga coinvolgendo il figlio in una procedura complessa”.

I giudici concludono dicendo che “manca però la prova di un vantaggio ingiusto ottenuto la Walter Virga a seguito della violazione di legge descritta non potendosi ritenere il compenso ricevuto dallo stesso in giusto. Si tratta quindi di una condotta diversa latu sensu corruttiva rimasta tuttavia sullo sfondo e sfornita di adeguato supporto di prova e rispetto alla quale il tribunale non può in questa sede compie una riqualificazione in presenza di fatti palesemente diversi da quelli contestati ed ai quali è mancato un effettivo accertamento nel corso del processo”.

Tra i condannati, anche l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo che segnalò a Saguto una persona da assumere nell’amministrazione giudiziaria dell’Abbazia Sant’Anastasia (è stata restituita all’imprenditore Francesco Lena). I giudici parlano di “uso distorto dell’ufficio” da parte del magistrato. Mise in atto un “abuso costrittivo” nei confronti dell’amministratore che però almeno in questo caso non assecondò i desiderata del magistrato. Da qui la condanna per tentata concussione sia per Saguto che per Cannizzo.

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16 Aprile 2021, 03:28

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