Nel disastro siciliano della classifica annuale sulla vivibilità del Sole 24 Ore che crocifigge l’Isola all’immagine riflessa della sua catastrofe, spicca negativamente (anche) il risultato di Palermo, che si piazza novantottesima, arretrando di undici caselle. L’indagine è stata condotta su base provinciale e l’occasione non sembri provocatoria per una domanda logica, in un momento delicato, in cui, per esempio, Comune e ministero dell’Economia sono protagonisti di una robusta polemica: a che punto siamo? Come si vive a Palermo?
Una questione che appare straniera perché la politica, da anni, non la pone al centro dei suoi discorsi con spirito di servizio. O meglio: coloro che non governano e che fissano alla sommità dei loro desideri la scomparsa dell’orlandismo la usano in chiave strumentale, offrendo polemiche e mai soluzioni; coloro che governano la scansano, perché una risposta sincera rischierebbe di apparire sconveniente.
Eppure, una risposta purchessia è necessaria, se si vuole che la famosa visione e il celebre cambiamento siano elementi concreti di cui discutere e non soltanto armi di una retorica che potrebbe apparire spuntata.
Provandoci, senza acrimonia, né partigianeria, bisogna riconoscere un dato: Palermo, in realtà, sono due.
C’è la città simbolica che gode di una discreta fama, per le parole di accoglienza e di concordia pronunciate ai massimi livelli, sul tema delle migrazioni e non solo, che collocano un’intera comunità – a prescindere dagli insulti incivili che ribollono, talvolta, nella pancia dei social – in un circuito di cultura che premia la sensibilità a discapito dell’egoismo. E questo non può che rallegrare le persone di buona volontà e rendere il nome di Palermo un marchio di convivenza civile.
C’è poi la città delle cose e delle persone e qui le parole cambiano. Non sono essenziali le classifiche degli esperti per spiegare che Palermo è, in gran parte, invivibile. Oltre il quadrilatero magico del centro storico, si annotano strade e marciapiedi rotti, la munnizza che invade le borgate, la mobilità irrisolta, le periferie non più presidiate da un progetto di sviluppo, l’inferno della movida e una situazione generale di crisi dei servizi.
Ecco, dunque, una sfida per l’immediatezza: mettere insieme, nell’unità del meglio, le due porzioni separate; ricongiungere la città che si muove e quella che soffre, non lasciando passare invano gli ultimi anni di una sindacatura che tramonterà nel 2022. Sembreranno veloci e più confortevoli, questi anni, se verranno spesi per risolvere i problemi di cose e persone con tutte le forze disponibili. Altrimenti, somiglieranno a un’attesa drammatica e senza traguardi disponibili.