Ci mancava soltanto l’ingegno della ministra Gelmini che ha tagliato cospicue risorse, per massacrare i disabili di Palermo. Grazie, ministra, siamo perfettamente in grado di massacrarli da soli. Non c’era bisogno della storia di questo ragazzo con un handicap grave che lascia la scuola da solo, senza un’anima o un cane che l’accompagni. Immaginiamo il suo sgomento di Pollicino nel bosco senza nemmeno una traccia di molliche di pane. Sentiamo a pelle il suo smarrimento. E avvertiamo il chiacchiericcio della gente perbene: “Vabbè, che volete che sia…”. Vabbè, Palermo è abituata a ben altro. Ha una corazza da rinoceronte. Forse ai rinoceronti che siamo diventati dovrebbe essere imposto un esercizio pedagogico: un giorno a Palermo con una carrozzina. C’è qualcuno che vuole lanciare l’iniziativa? Noi lo appoggeremo senza se e senza ma.
Vivere su una carrozzina nel cuore della città dannata significa misurare con esattezza di lacrime e spasimi la distanza che c’è tra la teoria e la pratica. Prendere il centimetro con un righello di pena. In astratto, non sta bene maltrattare la sofferenza, no, no e no. Ma noi che abbiamo le gambe possiamo abbandonare la trincea del sacro principio, un secondo dopo l’enunciazione. Noi disponiamo di muscoli torniti e sufficienti per oltrepassare le scalinate dell’indifferenza. Lo spirito libero in carrozzina conosce una sorte diversa. Con tutta la sua indipendenza, con tutta la passione che ha sviluppato per la vita irta di aculei, dalla sua scomoda postura, sarà eternamente inchiodato al suolo. E il suolo di Palermo è una bestemmia contro l’umanità. E’ una selva di tubi di scappamento, macchine posteggiate male, di vaffa, di gente che occupa spazi vitali per afferrare il caffè della giornata. E se gli fai appena presente che non è giusto ostruire i campi visivi di chi si muove su una sedia a rotelle, il palermitano medio reagisce in due modi. I migliori sbuffano con degnazione. Alzano gli occhi al cielo. Gli altri polemizzano. C’è questa segreta convinzione secondo cui il dolore da noi sia un privilegio. Una via che apra l’uscio di prestazioni assistenziali mangifiche e persistenti.
E c’è la squama poggiata sui nostri occhi che ci impedisce di vedere più in basso, per non rischiare di volare più in alto. perciò, gli handicappati di Palermo sono i reietti della terra. Non era il caso che la ministra ci ricordasse quanto siamo bravi nell’arte cattiva del “me ne fotto”.