Secondo Elon Musk, tra le altre cose proprietario e presidente di X, “questi giudici devono andarsene” riferendosi alla decisione del Tribunale di Roma, non unica, di sospendere, in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, la convalida del trasferimento di sette migranti in Albania. Una entrata a gamba tesa, di cui non si sentiva il bisogno, nello scontro in Italia tra governo e magistratura da parte di un miliardario chiamato a ricoprire ruoli importanti nella squadra del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump.
Fortunatamente abbiamo un grande presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è intervenuto per porre un freno all’incontenibile magnate. Ci mancava Musk l’onnipresente amico dei sovranisti e dei nazionalisti nostrani e non per completare la folta squadra che quotidianamente attacca magistrati e magistratura italiani, rei i primi di non assecondare la maggioranza in materia di immigrazione, colpevole la seconda, nel suo insieme, di “esondare” dai propri poteri.
Speriamo che Musk non se la prenda adesso pure con la Corte Costituzionale che ha parzialmente censurato, con l’individuazione di ben sette profili sostanziali di incostituzionalità, la legge sull’Autonomia differenziata fortemente voluta dalla Lega (sul tema abbiamo scritto su Livesicilia il 1 settembre scorso e ci torneremo presto).
Il clima ormai è diventato davvero incandescente, il conflitto nel cuore dello Stato non è mai stato così duro e pericoloso per la tenuta democratica delle istituzioni. In realtà, al di là di errori o faziosità di qualche pm o giudice, sotto questo cielo non esistono paradisi terrestri, siamo dinanzi alla pretesa di certa politica di insinuarsi nelle aule giudiziarie con il rischio di indebolire il principio sacro della separazione dei poteri.
Cerchiamo di chiarire in estrema sintesi. La questione gira intorno al cosiddetto decreto legge Albania, cioè al tentativo del governo Meloni di superare le decisioni dei Tribunali – adesso si parla di togliere la competenza alle sezioni specializzate in materia di immigrazione dei Tribunali civili per trasferirla alle Corti d’appello già sovraccariche di lavoro – che finora non hanno convalidato il costosissimo trasferimento dei migranti (pochissimi) in strutture costruite all’uopo in Albania, ricorrendo a una norma primaria (cioè a un atto avente forza di legge) per definire i Paesi sicuri verso cui rimpatriare i migranti.
Finora a regolare l’elenco dei Paesi sicuri c’era solo un decreto interministeriale (fonte gerarchicamente inferiore rispetto al decreto legge). Però, ed è qui che non si capisce dove finisce la buona fede e comincia la foga propagandistica, o viceversa, sappiamo benissimo che la materia è disciplinata da disposizioni di rango ancora superiore, cioè da norme europee. I giudici italiani non possono che applicare il diritto comunitario perché sovraordinato a quello nazionale, lo dice la stessa Costituzione agli articoli 11 e 117. In tal senso ci sono già sentenze della Corte di Giustizia UE che sono assolutamente vincolanti in proposito.
La Corte, con sentenza del 4 ottobre u.s., ha riaffermato che non è consentito il rimpatrio verso Paesi non sicuri contestando la genericità di certi elenchi in quanto il concetto di “sicuro” deve essere pieno, totale, esteso a tutte le zone di quel Paese e valido per tutte le categorie di persone. Così non è in alcune parti del mondo dove i governi non riescono a controllare l’intero territorio per la presenza di conflitti locali, di bande schegge impazzite, di gruppi terroristici o dove si può essere perseguitati perché, ad esempio, omosessuali o oppositori politici, vedi l’Egitto e il Bangladesh da cui provengono i sette migranti di cui sopra.
Questo tipo di valutazione, sulla base di quanto stabilito dalla legislazione europea, appartiene ai giudici. Tirando le somme, i criteri circa la definizione di un Paese come sicuro sono stabiliti dal diritto UE. Il giudice italiano, ferme le prerogative del legislatore nazionale, ha il dovere di approfondire in concreto, lo deve fare sempre per qualunque materia, la corretta applicazione del diritto europeo che prevale sulla legge nazionale, se quest’ultima incompatibile, come disposto anche dalla Costituzione italiana. Non ci rimane che attendere la risposta della Corte di Giustizia Europea.