Il blitz del presidente del Senato era pronto. Accanto al nome di Giovanni Pitruzzella, costituzionalista nominato a capo dell’Antitrust che fu di Catricalà, Renato Schifani aveva pensato di associare un altro suo uomo di fiducia. Una exit strategy per il sindaco di Palermo Diego Cammarata che il numero uno di Palazzo Madama aveva intenzione di piazzare all’Authority di Sorveglianza sui contratti pubblici. Un posto d’oro nel sottogoverno post-berlusconiano, sette anni di incarico con un’indennità netta annuale di oltre 200 mila euro. Quel posto che Cammarata ambiva da tempo e che dopo la caduta di Re Silvio sembrava essersi irrimediabilmente allontanato. Peccato che Schifani non avesse fatto i conti col veto di Gianfranco Fini. La nomina di Camamarata, infatti, doveva – così come prevede la legge – venire controfirmata dal presidente della Camera. Il leader di Fli non se l’è però sentita di apporre la sua firma sul decreto giudicando inopportuna la nomina.
Ufficialmente il no sarebbe stato motivato dal veto dato da Fini alla scelta di uomini politici, ma dietro al grande rifiuto del presidente della Camera ci sarebbero altre ragioni. Fini avrebbe cercato di convincere Schifani dei rischi, anche mediatici, che si sarebbero corsi con la nomina del sindaco di Palermo. Schifani avrebbe invece avvalorato la scelta, forte anche del via libera avuto dal segretario nazionale del Pdl Angelino Alfano. La nomina romana di Cammarata avrebbe portato il sindaco di Palermo alle dimissioni anticipate da Palazzo delle Aquile con relativa nomina di un commissario che avrebbe traghettato il Comune sino alla scadenza naturale della primavera del 2012. Il no di Fini, di fatto, costringerà Cammarata a restare in sella per altri sei mesi.