PALERMO – Brancaccio, periferia orientale di Palermo. È qui che la mafia offre l’immagine più significativa di ciò che è diventata.
“L’astro nascente Giancarlo Romano” (la definizione è degli investigatori) è stato assassinato lo scorso febbraio. Neanche 40 anni, ucciso in conflitto a fuoco allo Sperone, era figlio di quel mondo maleodorante in cui un giorno sei boss e l’altro muori ammazzato a pistolettate.
“A Palermo siamo zingari”
Si guardava intorno e si rendeva conto del “livello basso, misero” in cui è sprofondata Cosa Nostra dove i malacarne bruciano le tappe della carriera. Ne faceva – lui che se ne andava in giro armato a gestire affari di droga, pizzo e scommesse – un problema sociale perché “a Palermo siamo a terra, siamo in ginocchio, siamo gli ultimi, siamo zingari”.
“Siamo contro lo Stato”
Di una cosa però era certo: “Siamo contro lo Stato, siamo contro la polizia”. E “in futuro noialtri preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai…“. Ed ecco il cuore della questione: il futuro immutabile di Cosa Nostra che a Brancaccio, più che altrove, passa dal traffico di droga e dalle scarcerazioni.
Una parte del capitolo sugli affari degli stupefacenti sarà presto svelato partendo proprio dal ruolo di Romano. Al boss era intestato lo scooter Honda Sh in sella al quale se ne andava in giro un uomo fermato alcuni mesi dalla polizia in via Messina Marine.
“Le buste con i soldi”
Nel vano sotto la sella c’erano due buste di cellophane sigillate con 56 mila euro in contanti. L’uomo disse che erano i soldi del Tfr e stava andando a comprare una macchina. Era una bugia.
Quei soldi sono solo una parte degli incassi dello smercio della droga – cocaina, eroina, hashish e marijuana – spacciata soprattutto allo Sperone. I pusher la nascondono ovunque, persino nei cassonetti della spazzatura. All’interno di un box in via Lugi Galvani nella zona di Corso dei Mille di recente la polizia ha trovato un paio di chili di cocaina.
Ucciso Romano bisogna capire chi ha preso il suo posto. C’è un processo che sta per iniziare a Palermo. Sotto accusa c’è una vecchia conoscenza, Giuseppe Arduino, che sarebbe tornato a fare il capo dopo la scarcerazione. Assieme a lui anche Alessio Caruso, scampato alla morte il giorno che venne ammazzato Romano.
Il movente del delitto sarebbe legato ai debiti che Camillo e Pietro Mira – padre e figlio – avevano accumulato nei confronti di Romano per il giro di scommesse clandestine. I panelli delle puntate sono una delle due principali fonti di guadagno della famiglia mafiosa.
Ci fu un summit all’interno di un bar in corso dei Mille. Vi partecipò anche Arduino. Si discusse della gestione delle piazze e furono ribadite le regole di un giro di affari le cui pedine devono ancora essere svelate.
Gli scarcerati
Arduino è stato arrestato e Romano ucciso, ma molti personaggi sono ancora a piede libero e la piazza è attiva. Senza contare che vecchie conoscenze della mafia come Nino Sacco sono state scarcerate a Brancaccio. Uno dei triumviri che comandava a Brancaccio (gli altri erano Cesare Lupo e Giuseppe Faraone) ha finito di scontare 13 anni e mezzo di carcere.
Sacco è libero, sfiorato dalle indagini sull’omicidio Francesco Nangano, assassinato nel 2013. Un delitto ancora irrisolto. I servizi segreti un anno e mezzo prima del delitto avrebbero raccolto la notizia che Nangano era in rotta con i vertici del clan. Voci, ma nessuna conferma.
Nel mandamento che un tempo fu il regno dei fratelli Graviano c’è un’alta percentuale di scarcerazioni compresa quelle di alcuni imputati nonostante le condanne di primo grado. È il caso di Giovanni Lucchese, Claudio D’Amore e Giuseppe Caserta che attendono a piede libero di conoscere l’esito del giudizio di appello per la scadenza dei cosiddetti termini di fase.
Nello stesso mandamento sono tornati in libertà dopo avere finito di scontare la pena Giuseppe Giuliano, soprannominato Folonari, Giovanni Asciutto, Cosimo Fabio Lo Nigro r Paolo Alfano.
L’ombra del “dottore”
“Gli è stato detto tempo fa, quando è sceso il dottore di preoccuparsi della sua zona…”, diceva Giuseppe Greco, ultimo reggente del mandamento di Ciaculli-Brancaccio subentrato al cugino Leandro Greco, detto Michele in segno di rispetto nei confronti del nonno, il ‘papa’ di Cosa Nostra.
Qualcuno stava provando, nel gennaio 2020, a rivendicare maggiore potere. Quel qualcuno sarebbe stato “Folonari” che nel 2022 è stato assolto a fronte di una richiesta di condanna a 12 anni e mezzo da parte della Procura di Palermo.
Sempre Giuseppe Greco era già dovuto intervenire per mettere a tacere lo scontro fra Giuliano e i fratelli Antonino e Cosimo Fabio Lo Nigro, altro cognome storico in Corso dei Mille. Il pentito di Belmonte Mezzagno Filippo Bisconti raccontava di avere saputo da Leandro Greco che si era aperta una “corsa alla reggenza” della famiglia mafiosa fra i fratelli Giuliano e “uno dei Lo Nigro”.
Faccenda delicata quella di Brancaccio tanto da rendere necessario l’intervento del “dottore”, Giuseppe Guttadauro: arrestato, condannato, di nuovo arrestato e di nuovo condannato.
L’incontro con Lo Piccolo
Tra gli scarcerati ci sono pure personaggi con parentele importanti come Gaetano Savoca, figlio di Giuseppe, storico capomandamento, che nel giugno 2018 si presentò con Leandro Greco ad un appuntamento con Calogero Lo Piccolo, boss di San Lorenzo, in una casa in via Lucrezio a Sferracavallo. Un mese prima Greco e Lo Piccolo avevano presenziato alla prima riunione della cupola del post Riina.
In una mafia in difficoltà alla ricerca di soldi e nuovi capi, il futuro di Cosa Nostra passa anche dalle scarcerazioni. Dopo l’arresto di Leandro Greco l’asse del potere si sarebbe spostato di nuovo a Brancaccio.
Non più Ciaculli, dunque, dove nel 2018 un matrimonio ha suggellato uno dei legami più significativi degli ultimi anni. Emilio Nicolò Greco, fratello di Leandro, un tempo a capo del mandamento, ha sposato Concetta Di Giovanni, figlia del boss di Porta Nuova, Gregorio.
C’era anche Gregorio Di Giovanni alla riunione della cupola del 2018. Tutti in carcere, ora è tempo di provare a voltare pagina.