CATANIA – È il reato associativo a costituire il perno centrale dell’inchiesta.
L’operazione “Primus” ha portato nella notte tra giovedì e venerdì scorsi, all’arresto per mafia di 21 persone. Tutte ritenute vicine o affiliate al clan Sclaisi di Adrano. Indagini avviate nel luglio del 2021, coordinate dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dai sostituti Assunta Musella e Fabio Saponara, hanno visto in campo la squadra mobile della Questura di Catania e del commissariato di polizia di Adrano.
Mafia, il clan Scalisi sul territorio
L’esistenza di un sodalizio criminale di tipo mafioso che agisce nel territorio di Adrano che riprende il nome dal suo promotore Antonio Scalisi risulta già accertata con la sentenza n. 10/92 emessa dalla Corte di Assise di Catania.
Un clan che ha poi costituito oggetto della sentenza emessa venticinque anni fa – il processo Fico d’India -, che ha condannato per il reato associativo anche Alfio Di Primo e Pietro Maccarrone (nonno degli odierni indagati Claudio e Pietro) e lo stesso Giuseppe Scarvaglieri.
Nella sentenza in questione, viene riportato come “per affermare il suo predominio nel territorio di Adrano, Scarvaglieri con il suo gruppo ingaggiò una cruenta lotta contro il gruppo rivale dei “Santangelo-Taccuni”, storicamente alleato alla famiglia catanese “Santapaola-Ercolano”, e si attesta inoltre come anche Di Primo, cognato dello Scarvaglieri, fosse affiliato “di spicco” del medesimo gruppo”. La dinamicità del clan “Scalisi” risulta comprovata anche con la sentenza del processo Terra bruciata.
Le misure cautelari eseguite nei confronti dei componenti delle famiglie Scalisi e Santangelo-Taccuni avevano indirettamente determinato il progressivo radicamento nel territorio del gruppo “Lo Cicero” facente capo a Cristian Lo Cicero, referente dell’associazione mafiosa catanese “Mazzei-Carcagnusi” anch’essa intenzionata a dislocare ad Adrano una sua articolazione.
Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Salvatore Giarrizzo e Graziano Pellegriti sono stati un viatico determinante all’inchiesta.
Le estorsioni
Erano le estorsioni il business principale del clan. Gli episodi sono molteplici. E, come evidenziato dal procuratore capo Francesco Curcio, a parte un caso nessuno tra i taglieggiati ha mai sporto denuncia.
I casi, come detto, sono numerosi. Le ricostruzioni avvenute attraverso le intercettazioni, aiutano a ricostruire la spregiudicatezza del clan.
In una di queste, siamo ridosso delle festività pasquali, in un incontro tra Salvatore Scalidi e Alfio Di Primo alla richiesta rivoltagli dal suo interlocutore su come comportarsi con un esercente che aveva verosimilmente disatteso la richiesta estorsiva, gli suggeriva di porre in essere un gesto dimostrativo con finalità intimidatoria nei confronti dello stesso, esplodendo un colpo d’arma da fuoco (“una botta”) all’indirizzo del suo negozio.
Nel prosieguo della conversazione Di Primo, riferendosi palesemente ad un’altra estorsione di cui aveva incaricato il sodale Scafidi, chiedeva a quest’ultimo se si fosse recato “da quello dei tubi” e, ricevuta risposta negativa, gli ordinava di attivarsi per avviare l’attività estorsiva.
Ed ancora: “Digli che comincia a sistemare 5 mila euro euro”… “ma questo…5 mila euro secondo me per questo non sono niente 5 mila euro”.
In un caso, uno dei sodali che, avendo riscosso la somma di 25.000 euro da un imprenditore, non aveva ancora corrisposto la dovuta percentuale al capo Alfredo Di Primo vede quest’ultimo ipotizzare l’omicidio del cognato come ritorsione. “La mi…mi sta gonfiando…Gli ammazziamo a suo cognato”.
Sono 21 in tutto gli arrestati del blitz “Primus”.