L’annuncio ha campeggiato per giorni sulla prima pagina del Giornale di Sicilia accanto alla pubblicità di un supermercato. Un’agenzia “specializzata in responsabilità medica” offre una consulenza gratuita a chi ritiene di essere stato vittima di un errore sanitario e mette a disposizione uno “staff di medici legali, specialisti e avvocati” anche per una “rivalutazione di casi già trattati e respinti”. Incuriosito, ho visitato il sito dell’agenzia dove alla voce “mission” si legge: “Nessuno potrà restituire alle persone ciò che è stato loro tolto, mi consola sapere che potrò contribuire a dare loro un sollievo”. Il sito poi fornisce il testo del Giuramento di Ippocrate e cenni storici sulle vite di Galeno e Cicerone. Ho subito pensato al protagonista de “L’uomo della pioggia” di Grisham: un giovane avvocato che va a caccia di clienti in un Pronto Soccorso americano ove invece, buon per lui, trova l’amore in una donna brutalizzata dal marito.
Non è mia intenzione produrmi in una difesa corporativa della categoria professionale cui mi onoro di appartenere da oltre trenta anni. Il principio del “Chi sbaglia paga” si applica a tutti e deve essere ancor più rispettato quando un errore può avere conseguenze gravissime. Ma forse è il caso di ricordare che dove ci sono medici e ospedali ci sono pazienti e malattie. E dove ci sono malattie c’è morte e invalidità. La complicanza, la mancata risposta alla terapia, l’errore diagnostico sono comuni componenti di un caso clinico e, nella maggioranza dei casi, prescindono dalla prudenza, dalla diligenza o dalla perizia di chi esercita, da uomo fallace, il mestiere più difficile del mondo. Vedo oltre venti pazienti al giorno, sei giorni (e qualche volta sette) alla settimana. Senza falsa ipocrisia, c’è qualcuno dotato di buon senso che possa pensare che in trentadue anni, pur agendo sempre secondo scienza e coscienza, non abbia mai sbagliato?
In questi anni ho assistito a un progressivo deterioramento della qualità del rapporto medico-paziente. L’accesso facile a informazioni mediche, spesso di dubbia attendibilità e quasi mai suffragate dalla necessaria preparazione tecnica, ci porta sempre più spesso a dover discutere con incompetenti su nozioni che un tempo erano riservate ai soli addetti ai lavori. Grazie a Internet, siamo al suggerimento della diagnosi e della terapia. Siamo alla pretesa della curabilità oltre ogni diagnosi e oltre ogni prognosi. Siamo all’assurdo della prestazione medica intesa come “obbligazione di risultato”, piuttosto che come “obbligazione di mezzi”. Come se il cliente di un avvocato pretendesse l’assoluzione a prescindere dalla colpevolezza.
Ho ancora nelle orecchie le accuse di una vedova che mi chiedeva conto del fatto che il marito fosse morto a tre mesi dalla diagnosi quando le statistiche affermano che “la mediana di sopravvivenza è di sei mesi”. Faticai a spiegarle che la mediana di sopravvivenza è il tempo che la malattia impiega a dimezzare un gruppo di pazienti e che dunque non c’era nulla di anomalo nel fatto che il marito facesse parte della metà meno favorevole.
Il gravissimo indotto di questa crescente litigiosità tra medici e pazienti (o i loro familiari) è il fenomeno della medicina difensiva, inteso come insieme di atti o omissioni che un medico pone in essere per evitare problemi giudiziari. Esistono due forme di medicina difensiva: la “assuring” o positiva che consiste nell’esecuzione di consulenze e test diagnostici superflui e finalizzati ad evitare eventuali accuse di negligenza o di imprudenza e la “avoiding” o negativa, ossia la mancata erogazione di procedure potenzialmente vantaggiose quando il medico percepisce un rischio elevato di complicanze o fallimento. In altre parole, sarà sempre più difficile trovare chi è disposto a “un atto di coraggio” per salvare una vita se chi avrebbe il dovere di compierlo può scontarlo con l’accusa di aver causato una morte. E persino una parola d’incoraggiamento faticherà a valicare il confine della bocca nel timore che essa possa essere scambiata per un impegno cogente cui appigliarsi per future rivalse.
Il problema della medicina difensiva nasce negli Stati Uniti: già nel 2005 la prestigiosa rivista JAMA riportava che il 93% degli specialisti “ad alto rischio” (neurochirurghi, ostetrici, ortopedici) praticano abitualmente comportamenti difensivi. Ai giorni nostri, l’88% dei medici americani ha subito durante la carriera almeno una citazione in giudizio, dato che spiega la crescita dei costi delle polizze assicurative fino alla cifra astronomica di 200.000 dollari all’anno per un ostetrico che eserciti in Florida. Un recentissimo articolo pubblicato sulla rivista Digestive and Liver Disease fornisce i primi dati sulla situazione italiana. Si tratta di un questionario compilato da 64 gastro-enterologi lombardi, il 94% dei quali confessa di praticare medicina difensiva. Il costo stimato della medicina difensiva è, per la sola gastroenterologia lombarda, di oltre 8,6 milioni di Euro. Secondo la Corte dei Conti, dei 115 miliardi di euro della spesa sanitaria (7,2% del prodotto interno lordo), circa il 10% è speso in medicina difensiva.
La domanda è: chi ci difende dalla medicina difensiva? Chi difende il paziente da un comportamento omissivo? Chi difende il sistema sanitario, e dunque tutti i cittadini, dal pesantissimo esborso per procedure che servono solo a ridurre il rischio per chi le prescrive di “passare i guai” per non averlo fatto?
Qualche anno fa un mio paziente e collega che oggi mi sorride da lassù mi portò a Natale una copia della Bibbia di Emmaus. Conservo ancora il suo commento autografo al capitolo 38 del Libro del Siracide, quello in cui si tratta di noi medici. Questa è la parola di Dio: “Ricorri pure al medico; il Signore ha creato anche lui; non ti abbandoni, poiché ne hai bisogno. Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani. Anch’essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita. Chi pecca contro il proprio creatore cada nelle mani del medico”. E poi magari si rivolga alle agenzie specializzate in sollievo. Gratis e senza impegno. Come nelle televendite dei materassi.

