PALERMO – Quindici giorni. E la Sicilia avrà un volto diverso. Le macerie della Finanziaria sono ancora sparse sul pavimento dell’Isola. Ma nelle prossime due settimane bisognerà chiudere, insieme alla manovra che dovrà dare un futuro a migliaia di siciliani, una serie di partite aperte. Che – nel bene e nel male – modificheranno, e di tanto, l’identikit di questa regione.
L’assessore all’Economia Luca Bianchi ha annunciato che la “Finanziaria-bis” sarà pronta entro metà febbraio. Una scadenza che si aggiunge a quelle fissate già in quei giorni. E che in qualche modo si richiamano, in uno dei più classici “effetti-domino”. Entro il 15 febbraio, infatti, bisognerà approvare il ddl sulla riforma delle Province. Il giorno dopo verrà eletto il nuovo segretario del partito democratico. Nel frattempo bisognerà individuare i nuovi manager di ospedali e aziende sanitarie. Una partita che si intreccia anche a quella del rimpasto e a quella del congresso democratico, appunto.
Insomma, tra quindici giorni la Sicilia si sveglierà con i liberi consorzi (ovviamente sulla carta, servirà del tempo prima della cancellazione del vecchio ente) o con nuove elezioni in calendario; vedrà mutare i volti di tutti i vertici della Sanità e di quello del leader del partito al quale appartiene anche il governatore. Ma ognuna di queste strade è costellata di piccole o grandi trappole.
A cominciare dalla manovra-bis. Quell’operazione che dovrebbe consentire al governo regionale di sbloccare o reperire mezzo miliardo di euro e di garantire così le poste in bilancio per tutte quelle categorie che da oggi, con la pubblicazione in Gurs della Finanziaria, sono scomparse dai documenti contabili della Regione. Forestali, dipendenti di enti e associazioni legati a Palazzo d’Orleans, lavoratori delle Partecipate, associazioni antimafia, Teatri, Università. Bisognerà dare una risposta a ciascuno. Ma soprattutto, bisognerà convincere il Commissario dello Stato. Non a caso, in queste ore sono chiari i tentativi del governo di appianare le recenti “divergenze” e riaprire un dialogo. Un dialogo serrato e difficile. Ma decisivo per le sorti di tantissimi siciliani. Un dialogo da portare avanti, appunto, nei prossimi quindici giorni.
Giorni in cui a Sala d’Ercole approderà finalmente l’”epocale” riforma delle Province. La commissione ha esitato un testo che già divide il parlamento. Dove – come spiega lo stesso presidente della prima commissione Antonello Cracolici – non sono da escludere sorprese. A dire il vero, però, il malcontento è già venuto a galla. E se le lamentele del centrodestra, che pretende il mantenimento del voto popolare per l’elezione degli organi dei liberi consorzi, erano ampiamente prevedibili, suonano come un campanello d’allarme le dichiarazioni del Movimento cinque stelle e di alcuni esponenti Pd. I grillini, da sempre sostenitori dell’abolizione delle Province, dopo l’approvazione del ddl in Commissione hanno parlato di “brodino”. Mentre il deputato democratico Panepinto ha chiesto che siano i cittadini a scegliere come eleggere il presidente del nuovo ente. Segnali, che si aggiungono a quelli già manifestati in passato dall’Udc che ha sempre richiesto una “vera” riforma (“altrimenti meglio tornare al voto” hanno tuonato i centristi pochi giorni fa) e dall’affossamento, a fine dicembre, tramite il voto segreto, della richiesta di proroga dei Commissari, proposta dal governo. Un ko che potrebbe ripetersi sul terreno assai più importante del ddl di riforma, con effetti politico-istituzionali devastanti. Da un lato, infatti, si aprirebbe la strada a nuove elezioni (in controtendenza col resto d’Italia), dall’altro i contraccolpi per un governatore già indebolito dalla viceda-Finanziaria sarebbero quasi insostenibili.
Un governatore che, nel frattempo, e non a caso, sta cercando sponde davvero “bipartisan”. La presenza a Palazzo Chigi, l’altro ieri, di Angelino Alfano e soprattutto di Renato Schifani, oltre che del renziano di Sicilia Davide Faraone, dipinge un quadro di “dialogo necessario”, quasi forzato anche con forze politiche tradizionalmente avverse. Oltre che con correnti di partito con le quali il presidente della Regione ha polemizzato fino a pochi giorni fa.
Un dialogo che passerà anche dalla scelta – sempre politicamente significativa – dei nuovi manager della Sanità. Non a caso, questo ritardo “sospetto” nella scelta dei manager sta suscitando qualche mal di pancia tra gli alleati. “Il ritardo nella nomina dei nuovi manager di Asp e aziende ospedaliere – ha attaccato ad esempio il presidente della commissione Sanità e deputato del Pd Pippo Digiacomo – può servire esclusivamente a bloccare la programmazione con conseguenze disastrose per l’intero sistema sanitario regionale. Tutto ciò non è assolutamente tollerabile e per questo invito il Governo a procedere immediatamente con le nomine”. Un altro parlamentare del Pd, Mario Alloro, è andato persino oltre, chiedendo la “revoca delle procedura per la formazione di un elenco di aspiranti alla carica di direttori generali delle Asp perché redatta con criteri illegittimi. La commissione insediata per la valutazione delle istanze – ha spiegato Alloro – invece di limitarsi ad applicare i criteri di valutazione già stabiliti, ha previsto nuovi criteri successivamente alla presentazione delle domande e quindi quando era già a conoscenza dei curricula dei candidati”.
Una vicenda, quella dei manager, che verrà risolta in piena campagna congressuale. Con un partito, il Pd, che verrà necessariamente attraversato da tensioni e polemiche interne. Fino al 16 febbraio, giorno in cui verrà scelto il nuovo segretario. E quando un’altra partita sarà già più chiara: quella del rimpasto di governo. Richiesto da mesi dagli alleati. Una richiesta rafforzata dal “fallimento”, denunciato non a caso da tanti parlamentari, della giunta dei tecnici. La stessa giunta che dovrà lavorare sodo, in questi quindici giorni, per rimettere in piedi la Sicilia. Prima che la Sicilia cambi volto.