Vedo andar via Totò Cuffaro, mentre la sera arriva a coprire Agira e mi torna in mente un verso “anche a casa ci aspettano dolori, questo è certo”, lo ricordi?
E come posso dimenticarlo, è l’Odissea. I compagni di Ulisse hanno assaggiato il fiore che toglie la memoria e il desiderio di ciò che li aspetta…
…e il loro Capitano, invece, li sveglia – calpesta il Loto – e li comanda al compito supremo: tornare alle braccia delle loro spose, ai figli.
Non sono stati dieci, per Cuffaro, gli anni passati lontano da casa. Sono stati cinque, la metà dell’assedio di Troia.
A proposito di anni, sai cosa mi ha detto?
Dimmi.
“A me hanno dato cinque anni di carcere, qualcun altro, invece” – un presidente della Regione siciliana non omogeneo al sistema – “rischia di essere ammazzato”.
Di chi parlava?
Di chiunque vorrà fare politica in questa nostra Buttanissima Sicilia, immagino. Non si riferiva ai professionisti del consenso. A proposito, la prossima volta che andiamo in scena con lo spettacolo verrà ad assistere.
Uno spettacolo nello spettacolo il suo stare in platea. Mi dicevi, però, del verso di Omero.
Sì, certo. Mi veniva in mente perché Cuffaro, lasciando la cella di Rebibbia, ha poi potuto vedere l’altra galera, quella toccata in sorte ai suoi cari.
I figli, la moglie…
Varca la soglia di casa sua e, nelle mura domestiche, scorge i segni del Calvario ancora vivo.
Il pudore ci impone di non guardare dentro quelle finestre.
Ha pagato per tutti, lui, ma una torma di sciacalletti gli s’avvinghia addosso per riscuotere ancora. E lo fa con tutti i mezzi, anche con la più indecente delle vessazioni. Lo ha raccontato anche a te, mi ha detto.
Sì, certo. Dietro la formula del “costituirsi parte civile” si radunano anche molti speculatori della riscossione.
La vicenda politica ed esistenziale di Totò Cuffaro è anche un business. Oltre a essere “il Condannato” che lava la mala coscienza a tutti…
…noi, per primi.
…noi, per primi, certo, Cuffaro è anche il limone da spremere sulla graticola del risarcimento. Resta un fatto: paga solo lui e gli altri niente. Quando me lo sono stretto in un abbraccio ho capito una cosa.
Cosa?
Eravamo – ad Agira, dove è venuto a farmi la sorpresa di una visita – io il colpevole e lui l’innocente. Lui, il carcere, se l’è sucato per intero. E lo ha pagato tutto il suo debito con la Giustizia. Io, invece, a Rebibbia non ci finisco solo perché non la faccio, la politica…
Sai una cosa? Non la voglio neppure capire la questione posta in questi termini. Tu non sei accusato di Mafia…
…l’acqua della nostra giornata, e me lo insegni tu, non è tanto la Mafia ma la Sicilia, la Sicilia in sé, la Sicilia in quanto tale, ovvero una vicenda molto più complicata della criminalità.
Allora mettiamola così, sei presuntuoso. Con questa fisima del sentirti colpevole mi risulti peggio che un vanaglorioso. La tragedia – cinque anni di carcere vero – è tutta sua, tu sei solo un estraneo, una comparsa dimenticata.
Giusto, è così. E provo allora a spiegarmi meglio. Voglio dire che non c’è verso di salvarla la nostra terra fintanto che ce ne andremo sempre via, per come facciamo noi.
Noi?
Noi, sì. Io e te, per esempio. Tutto il deserto che versiamo addosso alla Sicilia ci rende colpevoli. Eravamo io e lui, ad Agira, e tutta quella bellezza intorno a noi resa desolata dal pur festivo pomeriggio…
…neanche il dì di festa?
Neanche. Prima di accompagnarlo a Case al Borgo, per festeggiarlo con una cassatella e un bicchiere, l’ho fatto affacciare dal terrazzo del maestoso belvedere di Santa Maria, il quartiere alto di Agira, dove io ho casa, e tutta quella commovente scena di terra e paese – dagli Erei, fino a lambire con lo sguardo gli Iblei e poi, in un giro di 90° gradi, l’Etna, i Nebrodi, le Madonie e le luci di casa tua, perfino, a Gangi – almeno in lui ha avuto uno che ha provato a farle, le cose. Ma io e te che, invece, la scena ce la guardiamo da Roma, quale innocenza possiamo accampare, quella di stare ‘dabbanna invece che c’abbanna?
Stare là, a Roma, invece che qua, in Sicilia?
Almeno tu hai Livesicilia. A proposito di questo. Se Totò Cuffaro, nel sondaggio aperto dal giornale sui personaggi di Sicilia dell’anno, risulta più votato di Sergio Mattarella, nientemeno che il Presidente della Repubblica, qualcosa vorrà dire.
E vorrà dire, sì.
E’ amato, Cuffaro. Quando mi viene incontro, sulla strada di casa, ci sono con me Nicola Valguarnera e Filippo Giunta, rispettivamente bibliotecario e mastro editor. Riconoscono Cuffaro, tutto potevano immaginare fuorché ritrovarsi davanti l’ex presidente della Regione e pur avendo storie politiche lontanissime da quell’uomo, in un solo istante – scorgendo nelle spalle smagrite dell’ospite, la Croce – gli sono Cirenei da subito.
E’ amatissimo, Totò.
Altro che. Prima di salire in paese da me, fermandosi per salutare un altro amico all’ingresso dell’Outlet di Agira, manco in un minuto uno ha avuto tutto un popolo intorno. Gente che voleva salutarlo, abbracciarlo perché lui, insomma, oltre a pagare il prezzo per tutti, in Sicilia, è stato…
E’ stato?
Uomo. S’è comportato come pochi – specialmente tra i capi della politica – avrebbero saputo fare. E’ stato di parola, ha cercato la porta della caserma dei Carabinieri invece che scappare e qualcuno, affettuosamente, glielo ha pure detto: “Non ho avuto il tuo coraggio, ho evitato l’arresto…”.
Qualcuno, chi?
Un altro, diciamo così, innocente. Un altro che trovandosi di fronte la Sicilia – invece che metterci mano, piuttosto che adoperarsi per darle un orizzonte e il futuro – se ne sta ‘dabbanna. E proprio quello, ora che ci penso, è uno che ha avuto tutto dalla Sicilia. La Sicilia tutta se stessa aveva dato a questo brav’uomo così consapevole di non avere il coraggio di Cuffaro. Ma sono storie finite ancorché infinite. Insomma, vedo andar via Totò Cuffaro mentre la sera arriva a coprire Agira e mi torna in mente un verso “anche a casa ci aspettano dolori, questo è certo”.