PALERMO – Gaetano Giampino è andato in macchina. Ha preso la pistola e ha fatto fuoco. Due colpi, uno dei quali si è conficcato nella pancia di Salvatore Maranzano. Vittima e carnefice erano vicini di casa. “È vivo per miracolo”, dice il capo della Mobile Rodolfo Ruperti.
Un nuovo caso di violenza che si manifesta come reazione a piccoli torti. Stavolta a scatenarla, tra i palazzoni dello Zen 2, giovedì sera, è una mancata precedenza automobilistica. La violenza non è mai giustificabile, figuriamoci per una banalità simile. Ciò che lascia ancora sgomenti, nonostante la cronaca sia ormai zeppa di episodi analoghi, è la facilità si fa fuoco contro un uomo.
Sempre allo Zen 2, lo scorso marzo, Antonino e Giacomo Lupo, padre e figlio avevano raggiunto Giovanni Colombo per un “chiarimento”. Anche loro si conoscevano da anni. Alcune ore prima del delitto c’era stata un lite: Colombo rimproverò il fratello minore di Giacomo e i Lupo, così ha riferito, andarono a trovarlo a casa. La discussione sarebbe degenerata. Colombo impugnò una pistola e fece fuoco. Inutile il tentativo dei Lupo di sfuggire.
A maggio Domenico Saletta, pensionato di 77 anni, in via Re Federico alla Zisa, pensò di mettere a tacere le richieste delle donna delle pulizie a colpi di pistola. Non aveva intenzione di pagare i dodici euro che gli erano stati chiesti.
Un mese prima Pietro Seggio, 42 anni, avrebbe ucciso Francesco Manzella. Seggio, titolare di una pizzeria a Borgo Molara, secondo l’accusa, sarebbe uscito di casa armato di una calibro 38 con cui avrebbe esploso il colpo mortale che raggiunse Manzella alla tempia. Manzella era lo spacciatore di Seggio.
Sono solo gli ultimi episodi di cronaca da una città che mostra il lato violento della vendetta e delle giustizia sommaria. Ci sono le vittime e ci sono i presunti colpevoli (le sentenza non sono ancora definitive).
Se c’è di mezzo la mafia le cose cambiano. Le indagini si fanno complicate e i delitti restano irrisolti. C’è un colpevole per uno solo dei recenti omicidi di mafia. Fabio Fernandez è stato condannato a dieci anni per l’omicidio di Giuseppe Calascibetta.Killer reo confesso, Fernandez aveva chiamato in causa altre tre persone per le quali non sono stati trovati i riscontri. Se è stato davvero lui ad ammazzare il capo mandamento di Santa Maria di Gesù nel 2011 allora vuol dire che non è stato un omicidio ordinato da un altro boss. Fernandez individua il movente nella lite per questioni di droga fra Calascibetta e un suo parente.
In questo caso c’è un colpevole, seppure i misteri restino, a differenza degli altri omicidi commessi negli ultimi anni a Palermo: Davide Romano, Francesco Nangano, Giuseppe Di Giacomo e infine Giuseppe Dainotti. Il macabro elenco si è aggiornato con gli omicidi di Vincenzo Greco e Antonino Di Liberto, e il tentato omicidio di Giuseppe Benigno, tutti avvenuti a Belmonte Mezzagno. Quando c’è di mezzo la mafia, seppure sia oggi una Cosa Nostra fiaccata dagli arresti, i killer sanno essere guardinghi.