CATANIA – La cosca della famiglia Bonaccorsi è una costola del clan Cappello di Catania, il braccio armato più violento, pericoloso e sanguinario. I “Carateddi”, così sono definiti nella malavita, sono pronti ad armarsi e uccidere anche per futili motivi. Una lunga storia di sangue raccontata in un lungo speciale del Mensile S disponibile in tutte le edicole. La “follia omicida” di questo gruppo malavitoso parte negli anni ’80. Epoca in cui i fratelli Bonaccorsi (Ignazio e Concetto) riescono a garantirsi uno spazio nella scena criminale catanese. La base operativa è a San Cristoforo, in particolare nel rione “Passareddu”, una zona circoscritta tra la via Poulet, piazza Campo Trincerato, via delle Calcare, via Testulla e via della Concordia.
Quando i due Bonaccorsi sono arrestati si assiste ad un momento di disequilibrio e di declino del gruppo ma pochi anni dopo ci pensa il fratello minore, Massimiliano, a prendere in mano le redini della cosca e riportare i Bonaccorsi tra i protagonisti della malavita di San Cristoforo. Massimiliano Bonaccorsi il 23 gennaio 1997 è freddato da alcuni killer all’interno di una sala da barba di via Poulet, nel rione Passareddu. Un delitto che ricorda le uccisioni dei boss nella Chicago degli anni ’20.
Nei primi anni del nuovo secolo si fa spazio nei vertici della cupola dei “Carateddi” Sebastiano Lo Giudice, nipote di Ignazio e Concetto Bonaccorsi. Nelle sue vene scorre il sangue dei Carateddi, sua madre è una Bonaccorsi. Iano “U Carateddu” si compone il suo gruppo di fuoco e pianifica la vendetta dello zio Massimiliano. I pentiti raccontano che Matteo Gianguzzo, ucciso il 18 luglio 2001, è la prima vittima di questo progetto di regolamento di conti contro i Mazzei, meglio conosciuti a Catania come i “Carcagnusi”.
Nel 2007 il rampollo dei Carateddi, Sebastiano Lo Giudice, torna libero. Appena fuori dal carcere comincia la sua sfrenata corsa alla conquista del potere. “Si sentiva Totò Riina” dice nel corso di un processo il pentito ed ex reggente dei Santapaola Santo La Causa parlando di Lo Giudice. Una sete di vendetta che sazia con il sangue. “L’Isis della mafia”, lo definisce la magistrata Lina Trovato della Dda di Catania durante un processo.