CATANIA – Dalla cronaca nera a quella politica, la Sanità è sotto i riflettori, non solo locali. Dal caso del decesso al Cannizzaro in seguito all’aborto gemellare di Valentina Milluzzo – con i vertici del centro di eccellenza catanese che respingono ogni accusa – al piano ospedali dell’assessore regionale Baldo Gucciardi, la salute pubblica è al centro dell’attenzione, non solo mediatica. Ne abbiamo parlato con Luigi Piazza, chirurgo catanese di fama, direttore di unità operativa complessa e di chirurgia generale dal 2002 presso l’Arnas Garibaldi di Catania, diretta da Giorgio Santonocito, e recentemente è stato nominato presidente della Sicob, la società italiana di chirurgia dell’obesità.
Le notizie di cronaca consegnano un quadro preoccupante di quanto può avvenire dentro e fuori la sala operatoria, dei rapporti tra i medici e le famiglie dei pazienti di fronte a tragedie, a complicazioni e, in generale, a interventi che non finiscono con l’esito sperato. Posto che spetta alla magistratura fare luce su quanto accaduto, e il dolore per la perdita di vite, viene da chiedersi con che spirito si entri in sala operatoria. Con quale stato d’animo un chirurgo si accinge a fare un lavoro così delicato?
Non entrerei nel merito di un fatto così drammatico come quello accaduto al Cannizzaro perché non conosco i dettagli, c’è un’inchiesta aperta e non mi sembra opportuno che mi spenda su questo argomento. Ma colgo l’occasione per entrare nel merito della questione. L’aspetto medico legale sicuramente riveste un peso preponderante nella nostra attività quotidiana, perché è chiaro che il contenzioso che è cresciuto in maniera esponenziale, e questo è un dato che non riguarda solo la regione siciliana, ma è un dato di carattere nazionale. Che però appartiene solo all’Italia. E questo, in qualche modo, è quello che genera un certo turbamento nel nostro approccio terapeutico.
Cosa è cambiato?
Da una parte, la tecnologia, la ricerca, lo sviluppo di nuove tecniche, ci spingono a superare i nostri confini con l’unica finalità di curare i malati, di curarne di più e di dare a queste persone che soffrono una migliore qualità della vita e un ritorno alla quotidianità il più presto possibile. Dall’altra parte, c’è chi cerca in maniera spasmodica di trascinarsi in un contenzioso medico legale, con la sola ed unica finalità di ottenere dei rimborsi economici. Bisogna dire, d’altro canto, che nessuno di noi pensa di sottrarsi al giudizio, laddove questo sia necessario. Noi tutti facciamo parte dell’Italia, che ha una sua Costituzione, delle regole e delle leggi e ci sottoponiamo tutti a queste leggi.
Ma il contenzioso aumenta. E anche i cosiddetti casi di malasanità.
Il punto è che le società scientifiche in questi anni hanno operato in maniera spasmodica per cercare di creare le migliori condizioni di lavoro sulla scorta di analisi di dati italiani e internazionali, di valutazioni sempre più attente che debbono esitare in quello che noi chiamiamo linee guida. Questo è un capitolo ben evidenziato nel Decreto Balduzzi. Ogni società ha sviluppato dei protocolli di diagnosi e cura che cercano di uniformarsi in tutto il mondo. Una volta che un medico, prima di approcciare il paziente, si adegua in maniera pedissequa a quelli che sono i protocolli, ed esegue in scienza e coscienza con professionalità ed onestà l’atto terapeutico, non è pensabile che questo debba essere soggetto a un giudizio penale. Ed è questo quello che ha turbato moltissimo i professionisti e, in particolare, alcune categorie: gli ortopedici, i chirurghi generali, i ginecologi, che sono afflitti da un contenzioso che è ormai fuori controllo.
Questo non esclude l’errore umano però.
L’errore umano, per definizione, è umano, e come tale è una cosa che non dovrebbe accadere, non deve accadere ma può accadere, come in tutte le professioni. Ma è chiaro anche che quando questo accade nella nostra professione, il riflesso immediato di questo errore può compromettere la qualità della vita o la vita stessa del paziente. Quindi è questo che impatta molto sull’opinione pubblica. La cronaca di recente si è occupata di errori umani, dove ci sono stati dei morti, e alla fine, le indagini della Procura hanno accertato ed evidenziato che ci sono state delle responsabilità e degli errori umani. Questo non deve servire a noi per crearci un alibi ed essere liberi di agire, di non rispettare le regole o farlo a nostro piacimento. Noi ci atteniamo a delle regole: purtroppo, in medicina, ogni tanto succedono dei fatti che non sono previsti. Il punto se quando succedono questi imprevisti, noi ci adoperiamo perché tutto venga fatto alla perfezione per il bene dei nostri pazienti.
Poi ci sono le famiglie dei pazienti. Esiste un sistema, in Italia, per aiutare i familiari di chi è malato, di fronte a “fatti imprevisti”, alle complicazioni che possono verificarsi in sala operatoria?
Questo è un capitolo molto importante, ma sfortunatamente non esiste educazione civica in senso lato, nel nostro Paese, nella nostra Regione, e sicuramente nel nostro settore. Per la verità, tutti i congressi delle maggiori società italiane hanno compreso che questo è un punto nevralgico che va coltivato. Anche nel nostro recente congresso della Sicob che abbiamo organizzato a Catania, abbiamo invitato le associazioni dei pazienti e dei consumatori, perché vogliamo capire alcuni aspetti che riguardano l’altra parte della barricata, ovvero i pazienti. Vogliamo che siano con noi in questa battaglia quotidiana, e non siano i nostri censori o i nostri avversari, ma i migliori alleati per erogare il più possibile servizi di qualità.
Dalla cronaca alla politica. Lei lavora in una delle strutture sanitarie più importanti della Sicilia, l’Arnas Garibaldi, un’eccellenza che rientra, come le altre aziende ospedaliere, nella risistemazione della rete ospedaliera regionale, ancora non definitiva. Ravvisa delle criticità all’interno della proposta di razionalizzazione della rete ospedaliera, qualche punto di forza?
Il discorso è molto complesso. Il punto è che, in questo caso, abbiamo di fronte un problema principalmente economico: è un sistema, quello sanitario, che in Sicilia, come in tutta Italia, necessità di forti investimenti e risorse che, negli ultimi vent’anni sono venuti meno. Occorre dunque che le risorse che ci sono siano meglio allocate, razionalizzate. Io faccio parte con orgoglio di un’azienda importante che è stata toccata, come tutte, da questo piano, ma presumo che l’assessore abbia agito nello spirito di creare una migliore funzionalità di tutte le aziende. Probabilmente, qualcosa verrà rivista in maniera più analitica, ma l’azienda Garibaldi era e rimane una delle più importanti per la qualità dei servizi erogati.
Sul pronto soccorso ha già tranquillizzato gli utenti il direttore generale dell’Arnas, Santonocito, ma quali sono gli altri settori che potrebbero risultare compromessi dalla rimodulazione del sistema?
Ho avuto modo di ascoltare più volte l’assessore e penso che abbia perfettamente inquadrato la situazione nella sua criticità. Il nostro Ministro ha ben compreso l’importanza che rivestono i dipartimenti dell’urgenza, e da quello che ho avuto modo di capire e leggere, anche il Governo non intende fare tagli proprio a questo settore che è nevralgico. Quindi mi aspetto che il settore più delicato che è l’emergenza venga sostenuto a pieno canale, dando la possibilità a medici e infermieri di cui obiettivamente siamo carenti, di poter agire.
Da terra di emigrazione sanitaria, la Sicilia può diventare terra di immigrazione?
Io direi che non si tratta di una speranza, ma di una certezza. Al di là della tecnologia acquisita recentemente, i dati parlano chiaro: la migrazione passiva è in netto decremento. A Palermo si stanno sperimentando delle nuove tecniche ortopediche e trapiantologiche, inerenti lo studio e la cura del diabete, che hanno visto interessare specialisti di altre nazionalità. Questo è un segno importante di come la Sicilia negli ultimi dieci anni abbia fatto passi da gigante, esprimendo professionisti di altissima qualità e profilo. Nall’azienda Garibaldi, se andiamo a vedere lo sviluppo tumultuoso dell’oncologia, vedremo dei dati comparabili con quelli di istituti italiani come il San Raffaele. In qualche modo, questa piccola falla del sistema sanitario regionali, lo abbiamo tappata. Per non parlare di atri importantissimi settori come l’endocrinologia: c’era un enorme flusso migratorio che a partire dagli anni Novanta era stabilmente rivolto verso Pisa. Tutto questo è venuto meno perché i siciliani stanno trovando risposte a casa loro. Certo, il problema è e rimane lo stesso: questo sistema, richiede investimenti e questo richiede una spesa in termini economici e di risorse umane che non può essere certamente ridimensionata in modo drastico perché se no, questi risultati raggiunti con tanta fatica, non potranno essere portati a termine.