CATANIA – L’avvocatura è uno dei pilastri del sistema giustizia. Garantisce il diritto di difesa e la celebrazione di “un giusto processo”. Il Censis ha pubblicato uno studio che mette in evidenza come il “prestigio” della professione forense sia in netto declino rispetto ad altre professioni. Uno studio che pone l’accento a una serie di problematiche la cui trattazione, forse, non può essere più rinviata. Tra gli argomenti più urgenti c’è quello dell’accesso alla professione. Per il presidente della Camera Penale “Serafino Famà” di Catania, Enrico Trantino, sono stati messi in discussione “l’autonomia e l’indipendenza degli avvocati”. In uno scenario (quasi drammatico) resta solo la preparazione. “C’è un rischio di scivolamento in una concezione didascalica della professione”.
Presidente, si è riacceso il dibattito sull’accesso alla professione forense. Consentire l’accesso illimitato alla professione di avvocato non potrebbe provocare una sorta di “sovraffollamento” in un distretto ad esempio come quello catanese che conta migliaia di professionisti?
Il “sovraffollamento” è un drammatico dato di fatto. Più di 250.000 avvocati in Italia, a fronte dei 55.000 francesi o dei 160.000 tedeschi (per una popolazione ben più consistente), rappresentano lo specchio di una realtà che per troppo tempo è stata nascosta sotto il tappeto, ma che adesso sta emergendo in tutta la sua problematicità. Nel 1921 Calamandrei si lamentava per l’eccessivo numero di avvocati nel nostro Paese. Se pensiamo che nel 1985 – data della mia iscrizione – eravamo 38.000 gli iscritti nel territorio nazionale, ci rendiamo conto della situazione di emergenza che si è generata negli ultimi decenni.
Lei ha parlato di criteri di “concorrenza” che diventano “offerte sottocosto con materassi in omaggio”. Un’amara ironia della realtà?
La competitività ormai è fondata, non sulla qualità della prestazione, ma sul costo della stessa. Attraverso la politica del ribasso progressivo ci sono avvocati che chiedono compensi mortificanti per assistere qualcuno in giudizio. Da un lato capisco l’esigenza di chi deve pur sopravvivere. Dall’altro, questo sistema ha prodotto un meccanismo grottesco: i “clienti” un tempo ritenevano gli avvocati prestigiosi professionisti cui affidarsi per sostenere le proprie ragioni. Adesso li considerano uno “strumento” necessario per sostenere la domanda di giustizia. Si è sovvertito il rapporto di gratitudine e instaurato un congegno pernicioso per il quale è l’avvocato a dovere essere riconoscente con il cliente che l’ha scelto e non – come sarebbe fisiologico – il contrario. Quel che molti colleghi sottovalutano è l’effetto a rimbalzo progressivo di quest’asta a ribasso. Se per lavorare offrirai prezzi stracciati, troverai sempre il collega che si proporrà per qualche euro in meno con mortificazione della toga e della funzione.
Dai dati del Censis – presentati in questi giorni – emerge una perdita del “prestigio” della professione forense. Come commenta questo studio? E’ solo statistica?
È il risultato di quel che ho prima lamentato. Se ti mostri disponibile a esercitare il tuo mandato per pochi spiccioli, e ti contendi con il collega il credito di 100 euro che taluno vuole soddisfare, è finita l’autonomia e l’indipendenza degli avvocati. Diventiamo solo mestieranti che hanno smarrito consapevolezza del proprio prestigio sociale, appiattendosi su una visione mercatistica della professione.
Presidente, un messaggio per i giovani praticanti catanesi e per chi indossa la “toga” da pochi mesi.
Sarebbe facile invitarli a non demoralizzarsi, ma non dovrebbero leggere quel che ho detto prima. Per essere competitivi, l’unica “ricetta” è la preparazione, la cultura e la probità. C’è un rischio di scivolamento in una concezione didascalica della professione. Bisogna invece sempre mettersi in discussione, considerando ogni traguardo solo un punto di partenza per un nuovo inizio. Infine, e soprattutto, pretendere il rispetto dai clienti, non indulgere mai a pariteticità nei rapporti, porre sempre la scrivania tra noi e chi si rivolge a noi. I tempi sono obiettivamente difficili; ma rinunciando alle nostre prerogative e al prestigio della funzione faremo solo male a questa stupenda professione.