CATANIA. Si è concluso con una pesante condanna a dieci anni ed un mese di reclusione il processo in primo grado per usura ed estorsione a carico di Mario Di Bella. Il 45enne ripostese, già condannato tre anni fa per gli stessi reati, era stato raggiunto in carcere, nel marzo del 2011, da una nuova ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip di Catania Oscar Biondi, nell’ambito di un’articolata indagine condotta dalla Guardia di finanza di Riposto e coordinata dal sostituto procuratore di Catania Assunta Musella. Imputato nello stesso processo, per concorso in estorsione e falso, il consulente finanziario acese Luciano Messina, condannato a cinque anni e nove mesi di carcere.
Ad entrambi gli imputati sono state contestate le aggravanti del metodo mafioso. L’indagine era scaturita da una più ampia inchiesta avviata nel 2009 dalle Fiamme gialle ripostese, in seguito al tentato suicidio di un commerciante vittima degli usurai, che aveva portato all’arresto e poi alla condanna dello stesso Di Bella e dell’ex assessore ripostese Giuseppe Tropea.
Il secondo filone di quell’indagine, nel febbraio del 2010, era sfociato nell’operazione “Esagono” conclusasi con l’arresto in flagranza di reato ad Aci Castello del 54enne Giuseppe Miduri, direttore di banca presso la filiale catanese di un noto istituto di credito. L’uomo aveva appena intascato dalla sua vittima, un imprenditore acese operante nel settore delle fonti di energia alternativa, una somma pari a 5000 euro, la rata di un prestito i cui tassi di interesse si aggiravano intorno al 120 % all’anno. Grazie alla collaborazione di quello stesso imprenditore era stato possibile ricostruire un nuovo quadro probatorio a carico di Di Bella e Messina. Secondo l’accusa i due avevano preteso dall’imprenditore tassi annui pari al 300%, facendosi consegnare una somma iniziale di 10 mila euro, un’altra rata di 500 euro mensili a titolo di protezione ed altre 5000 euro in occasione delle festività natalizie. Diversi i ruoli assunti dai due imputati. Di Bella avrebbe esercitato pressioni e minacce sulla vittima, mentre Messina avrebbe svolto il ruolo di mediatore. L’imprenditore, stretto nella morsa dei tassi usurai e delle estorsioni per la protezione, aveva ceduto anche la propria automobile, una BMW serie 5, il cui valore sul mercato è risultato poi il doppio del debito contratto con gli imputati.
“Riteniamo che dalle emergenze processuali – hanno dichiarato i legali Ernesto Pino e Marisa Ventura, difensori di Mario Di Bella – fossero sorti seri dubbi sull’attendibilità della persona offesa. Queste contraddizioni, unitamente alla mancanza di riscontri delle somme che lo stesso avrebbe sborsato, facevano fondatamente ritenere che sarebbe stata emessa sentenza di assoluzione, quantomeno sotto il profilo del dubbio. Poiché siamo abituati a rispettare le sentenze, attendiamo il deposito della motivazione per proporre impugnazione”.
Il legale di Luciano Messina, Alberto Agatino Finocchiaro, non ha voluto rilasciare nessuna dichiarazione, in attesa delle motivazioni della sentenza.
Intanto il 12 marzo si aprirà il processo sulla gestione del servizio di sosta a pagamento nel comune di Riposto. Sul banco degli imputati ancora una volta Mario Di Bella, accusato questa volta di abuso d’ufficio e turbativa d’asta, in concorso con la moglie Emanuela Triolo, l’ex sindaco Carmelo Spitaleri, l’ex comandante della polizia municipale, Giuseppe Ucciardello, e il legale rappresentante della cooperativa Porto dell’Etna, Salvatore Tropea. Imputato solo per turbativa d’asta anche il consigliere comunale Michele D’Urso.
E’ solo l’ultimo filone, il terzo, di quell’indagine, condotta dalla Guardia di finanza di Riposto e coordinata ancora dal sostituto procuratore Assunta Musella, in cui il filo conduttore sembra avere un nome, Mario Di Bella.