Ancora un’orribile estate | Lamento per Mondello perduta

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24 Aprile 2016, 06:15

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PALERMO- Il vicino ritorno dell’estate di Mondello è annunciato dall’omone con cappellino e panza regolamentari. Sembra Conan il barbaro, ma con cento chili addosso in più. Comanda tra i viali, incastona nel parcheggio le auto dei primi bagnanti che corrono verso il mare, ed è uno dei tanti filantropi meglio noti a Palermo col titolo nobiliare di posteggiatore abusivo. Tu gli dai un euro o qualcosa di più. Lui ti attribuisce una laurea a prescindere e, solennemente, giura sul suo sacro ordine: “Dottò, a machina a lassassi a mia. Ci penso io”. Significa: né acqua, né vento, né un vigile urbano particolarmente zelante separeranno Conan dalla sua missione, votata alla custodia.

L’estate di Mondello, per i residenti, è una minaccia che, a partire dal caldo iniziale, si avvicina a grandi passi verso una terribile realtà. Le prime avvisaglie sono i palermitani sulla spiaggia, soprattutto la domenica, col favore del sole. Essi hanno già devastato il centro e sporcato le periferie, in un tripudio di cartacce, mozziconi di sigaretta e strane forme di rifiuti solidi urbani. Ora si preparano a compiere lo stesso scempio sulla battigia. E piovono mozziconi, cartacce, inconsuete fogge di munizza, con qualche concessione alla creatività: tipo, un preservativo usato tra le onde.

D’autunno, Mondello è un luogo metafisico e letterario, adatto alla meditazione e alla pace dei sensi, particolarmente indicato per gli spiriti solitari, in sospetto di misantropia. La sua grandine, quando capita, ha lo stesso scroscio che spinse Paul Verlaine a scrivere una splendida poesia; il suo freddo è garbato; la sua ampia desolazione ispira passeggiate memorabili e pensose.

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Ma, a cominciare già da maggio, un concentrato di bellezza e tenerezza si trasforma in postribolo di ogni pia intenzione di decoro. Scendono, dalle loro montagne, i barbari Conan e prendono nota della strada che diventa di loro proprietà. Li riconosci dall’adipe debordante, dal berretto tondeggiante e dal tono flautato fra cortesia e violenza, mentre ti accerchiano, alla stregua di reucci, per rivendicare il suolo pubblico di spettanza. Nel frattempo, vandali felici della propria rozzezza – la maggioranza assoluta, cioè, del popolo palermitano – deturpano il mare con l’abbondanza di minzioni che colora i flutti, innaturalmente tiepidi, di una inquietante tonalità pagliericcio.

I cestini gettacarta traboccano, finiscono divelti sulla passeggiata, la percentuale di bancarelle raggiunge un’altissima densità, sicché è quasi impossibile procedere. E tu li scorgi – i palermitani – beati e sicuri in tanta sconcezza. Il caos li fa sentire a casa, la munnizza, col suo fetore, aggiunge un tocco familiare al paesaggio, la calca sudaticcia ne esalta l’agonismo di combattenti dell’inciviltà, il mozzicone che la signora in transito lancia a terra e pesticcia compone una via del tabacco che interesserà gli storici a venire.

Addio Verlaine: “Il pleure dans mon coeur, comme il pleut sur la ville”. Addio all’autunno delle malinconie e delle dolcezze. Addio al respiro umano dello scirocco. Forse sarebbe utile dotare Mondello di un sindaco autonomo e costringere i forestieri a pagare un pedaggio come acconto per la periodica distruzione. O forse bisogna solo rassegnarsi: a Palermo la bellezza è un tesoro inutile, non la riconosciamo, non la proteggiamo. Insomma, non sappiamo che farcene.

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24 Aprile 2016, 06:15

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