CATANIA – Il mondo dell’associazionismo è un enorme puzzle fatto di piccoli gesti. Azioni incastrate ad altre pronte a rivelare ciò che di più buono vi è, ancora, nell’animo umano. Storie di bambini, donne e uomini che si intrecciano per dare vita alla socializzazione e al rispetto delle diversità come strumento di crescita. Live Sicilia Catania intraprende un viaggio nell’universo delle associazioni nostrane, fotografando i quartieri in cui spesso, e in silenzio, operano gruppi di volontari. “Il poco di molti diventa moltissimo” è, ad esempio, uno dei motti di Carlo Cittadino, presidente di Kataneconomie.
Quante le associazioni presenti a Catania?
Quelle attive saranno circa 200. Tra queste parecchie rimangono ancora, però, sconosciute alla collettività nonostante operino in maniera proficua nel territorio.
Quali i quartieri più interessati?
Soprattutto i Cappuccini, Picanello, Ognina e l’area della Playa.
Che funzioni svolgono?
Di mediazione fra il pubblico e il privato, con enormi difficoltà però.
Dovute a cosa?
In primis, alla mancanza di coordinamento. A Catania esiste il Centro di Servizio per il Volontariato Etneo che si occupa di coordinare e supportare le associazioni soprattutto sotto il profilo finanziario, ma bisognerebbe creare un volontariato che non gravi più sulle spese dello Stato. Occorrerebbe mettere insieme le diverse forze associative per produrre ricchezza e lavoro.
In tempo di crisi, il mondo delle associazioni può rappresentare, quindi, un’opportunità di lavoro?
Sì, purtroppo da noi però manca quel collante utile a trasformare tutto ciò in realtà. Periodicamente assistiamo alla realizzazione di censimenti tesi a stilare statistiche e dati che lasciano il tempo che trovano. La nostra idea è un’altra: mettere in rete tutte le associazioni, attuando iniziative e progettualità soprattutto a favore dei giovani. E invece, quando si parla di associazioni, i politici fanno ancora un uso spropositato di tre parole: volontariato, etica e sinergia. E questo accade perché, vivendo lontani dalla realtà che li circonda, non riescono a comprendere fino in fondo il valore profondo di quei termini.
Come andrebbe affrontato il problema?
Occorrerebbe che ognuno di noi mettesse a disposizione altrui le proprie potenzialità e professionalità. In America i lavoratori, ad esempio, hanno il diritto per contratto di richiedere al datore alcune ore per esercitare il volontariato, ore ovviamente non retribuite, ma che generano ricchezza sociale. Nel 2011 abbiamo presentato al sindaco un nostro progetto per avviare una partecipazione diretta dei cittadini alla vita di palazzo, ma il riscontro è stato pressoché vano.
Quali erano le vostre proposte?
Incentivare la raccolta differenziata, adoperare gli archi della marina come sedi adibite alla promozione degli enti no profit, a costo zero per la collettività. Strettamente collegato a quest’ultima idea, il progetto di realizzare uno spiazzale nell’area antistante il porto destinata ad eventi sociali e cineforum, adoperando i sanpietrini dismessi da via Etnea. Suggerivamo, poi, per Corso Martiri della Libertà la realizzazione di parcheggi sotterranei e verde pubblico nelle buche dove ancora oggi alloggiano, in condizioni igienico sanitarie precarie, parecchi immigrati. L’area, così vasta, permetterebbe difatti la costruzione di un numero di posti macchina efficaci per eliminare l’ingresso delle auto nel centro storico, collegando quest’ultimo attraverso bus navetta elettrici.
Siete riusciti a realizzare per un breve periodo, però, l’agenzia immobiliare sociale?
Sì, ma solo per 6 mesi. Di volta in volta abbiamo presentato istanza all’amministrazione di poter destinare, temporaneamente, alcuni degli immobili inutilizzati di proprietà del Comune per sopperire alla precarietà di chi, a causa di condizioni economiche disastrose, è costretto a vivere in macchina. Una bellissima esperienza. Peccato solo che le nostre proposte rimangono ad impolverarsi nei cassetti delle scrivanie degli amministratori.