Sebastiano Tusa, archeologo e nuovo assessore regionale ai Beni culturali, riceve il testimone da Vittorio Sgarbi. Che andandosene ha detto che Musumeci non voleva un assessore ma un capoufficio. Lei si sente tale?
“No, non mi sento un capoufficio. Conosco la macchina della Regione, so benissimo quali sono i ruoli. L’assessore ha un ruolo di indirizzo politico, deve essere colui che interpretando l’indirizzo politico della giunta lo traduce nello specifico”.
A proposito di indirizzo della giunta: le opposizioni, sia il Movimento 5 Stelle sia il Pd, contestano al governo di avere previsto ingenti tagli sulla cultura in questa manovra. Lei ne avrà contezza, ovviamente, che ne pensa?
“Sì, ne ho contezza a fino ad ora non ho mai partecipato a una riunione di giunta. È evidente che il compito dell’assessore ai Beni culturali è quello di far sì che le poste debbano essere più cospicue per questo settore. D’altronde io sono convinto, da cittadino, che la vera ricchezza di questa regione sia la cultura. E su quella dobbiamo investire. Abbiamo già a disposizione altre fonti di finanziamento, che sono i fondi europei e poi la creazione di un circolo virtuoso di collaborazioni con i privati”.
In questo senso il Def del governo si sofferma molto, proprio sul coinvolgimento dei privati. Qualcosa che con Franceschini si è già fatto a livello nazionale. Lei che idee ha?
“Bisogna passare dalla teoria alla prassi. Noi abbiamo delle norme che sono molto farraginose: dobbiamo invogliarli i privati. Di fronte a una burocrazia in cui nessuno decide, il privato si scoccia e se ne va. Dobbiamo cercare di snellire l’attività delle soprintendenze che devono essere un po’ più rapide”.
Lei ha lavorato tanti anni come tecnico in questo settore: si è mai detto ‘se fossi io l’assessore ai Beni culturali farei…”?
“Sì, ci ho pensato. Per esempio a proposito di decisioni di carattere organizzativo. Come potenziare il settore del restauro. Lo dico perché viaggio molto in Africa, in Paesi che vedono nell’Italia un partner privilegiato. Anche loro hanno l’idea dello sviluppo dei Beni culturali ma non hanno i mezzi. Noi potremmo diventare un polo di riferimento per loro nelle tecnologie innovative dei Beni culturali”.
Che ne pensa, a proposito dell’accorpamento previsto dal governo per il Centro per il restauro?
“Secondo me è giusto, io accorperei anche la Soprintendenza del mare. La mia idea è creare quello che Andrea Emiliani creò in Emilia Romagna, l’Istituto superiore dei Beni culturali, che lavori soprattutto sull’innovazione tecnologica sviluppando progetti a livello sperimentale e prototipale”.
Sgarbi sarà dunque suo consulente?
“Lo ha nominato il presidente Musumeci durante il suo brevissimo interim. Credo che ora lo dovrei rinominare io. Con lui ho un ottimo rapporto, sicuramente tutti soffriamo ogni tanto delle sue intemperanze”.
Lo sa che in Sicilia da un po’ di anni a questa parte gli assessori ai Beni culturali durano poco.
“Io mi auguro di durare a lungo. Ma non per me, perché ho fatto tante cose e posso considerarmi soddisfatto della mia vita e della mia carriera. Ma per il bene della Sicilia, che duri poco l’assessore non è una cosa positiva. Io spero nel ritorno alla normalità, dobbiamo smettere di ragionare sempre in emergenza. Perché dobbiamo arrivare al 12 agosto per capire chi rimane a Ferragosto per non chiudere i musei?”.
A livello statale Beni culturali e Turismo sono uniti in un unico ministero, non qui in Sicilia. Lei vedrebbe bene un accorpamento?
“Secondo me è fondamentale. Uno dei nostri problemi più grossi è che non comunichiamo. Dico sempre che a Gela c’è un museo archeologico che è uno dei più belli. Chi lo sa? La comunicazione dovrebbe farla il Turismo. E un accorpamento potrebbe essere utile”.
Ma visto che l’accorpamento non c’è, almeno una collaborazione stretta?
“È quello che voglio fare. E ovviamente anche con le Infrastrutture”.
Intanto, gli indicatori dei Beni culturali in Sicilia negli ultimi anni sono stati positivi. C’è una netta crescita delle visite. A cosa si deve questo momento positivo?
“C’è un maggiore interesse e sono state fatte cose positive: il restauro della Villa del Casale, l’apertura di nuovi musei, eventi che hanno attratto il pubblico. Ma non dobbiamo cullarci sugli allori. Dobbiamo tenere presente che tutti i Paesi del Nord Africa sono chiusi, non parliamo del vicino Oriente. Sicilia, Malta, Spagna e Grecia certamente ne hanno beneficiato”.
Il suo assessorato si occupa di Beni culturali ma anche di cultura in senso lato. E allora va affrontato un tema: questa è una regione che si trova sempre agli ultimi posti delle classifiche relative alla lettura di giornali e libri. Non crede che si tratti di una vera emergenza per la politica?
“Mi sono documentato. Ho visto che in alcune regioni d’Italia hanno fatto una legge sull’editoria che dà agevolazioni ai piccoli editori e lì, per esempio in Campania, c’è stato un boom di pubblicazioni e un aumento egli acquisti. Ma c’è stato anche un programma di diffusione attraverso le biblioteche zonali. L’editoria è fondamentale: la gente deve leggere, va alimentato il circuito delle biblioteche ma anche quello dei musei. C’è il famoso esempio del museo di Marianopoli dove vanno 150 persone all’anno. Una realtà come quella deve essere un centro di aggregazione locale, il museo come il posto dove andare a prendere il caffè o vedere un concerto”.