Biagio, Giuditta, l'amore spezzato | "Mia figlia... Come se fosse ieri" - Live Sicilia

Biagio, Giuditta, l’amore spezzato | “Mia figlia… Come se fosse ieri”

L'incidente del 'Meli' il 25 novembre 1985. Tutto passa. Niente è passato.

PALERMO- “Per me è come se fosse ieri”. La voce coraggiosa di Francesca Milella è un soffio di cristallo, terso e attraversato dalle crepe di un dolore che non si può raccontare. Sua figlia, Maria Giuditta, e Biagio Siciliano, due ragazzi del liceo ‘Meli’, furono travolti da un’auto di scorta, il 25 novembre 1985, alla fermata dell’autobus, accanto alla scuola, a piazza Croci. Morirono. Domani saranno trentaquattro anni. C’è una santa ostinazione dell’amore che non calcola il tempo. “Sì, è come se fosse accaduto ieri – ripete la signora Francesca -. La ringrazio per avermi telefonato, ma non vorrei aggiungere altro”.

Giuditta, che era chiamata Titta, aveva diciassette anni e viveva in una casa dalle vetrate luminose. La sua stanza è ancora come era. Un quadretto, un piccolo giradischi, una lavagna con parole di gesso ormai consumate dai giorni. Biagio aveva quattordici anni e prendeva, all’alba, la corriera da Capaci per non fare tardi. Lei era espansiva, allegra, solare. Lui era timido, sensibile, già grande per la sua età.

Giovanni Mancino, che è diventato un prof al liceo, e che era alla fermata, da studente con il suo cappello e i suoi capelli lunghi, ricorda: “Ho attraversato ed è successa una catastrofe. Arrivo al marciapiede opposto, sento il boato, mi volto, vedo ragazzi che saltano per aria. Corro indietro. Qualcuno della scorta mi punta un mitra: ‘Fermo’. Crollo. Cerco una cabina telefonica per chiamare mia madre, rassicurarla e avere notizie di mia sorella: anche lei frequentava il ‘Meli’. Ricordo le serate in ospedale e le preghiere. Ricordo la storia di un altro ragazzo ferito in modo grave. I nostri compagni li porto sempre qui sul mio cuore, come tutti noi”. Biagio fu ucciso subito dallo schianto. Giuditta morì al Civico una settimana dopo.

C’era pure Costantino Visconti, leader del Movimento studentesco, che oggi insegna all’Università. Il suo marchio di fabbrica era l’impermeabile bianco. “Ero nella stanza di Aldo Zanca, il preside. Sentiamo un rumore pazzesco e un silenzio surreale. Esco e mi trovo catapultato a Beirut. Afferro un mio compagno di classe che camminava in via Libertà, sotto choc, con la gamba squarciata. Lo infilo in una macchina che parte verso l’ospedale. Preghiamo e speriamo. Alla fine, pure Giuditta morì. La nostra generazione è rimasta segnata. Per me Biagio e Giuditta sono due santuzzi, due teneri picciriddi presenti nella mia anima”.

Era il novembre del 1985, il Natale era vicino. Ti innamoravi ogni settimana. Usa For Africa cantava “We are the world”. Lo scudetto del Verona. I morti dell’Heysel. E un ragazzo possente, Sergey Bubka, che volava oltre i sei metri nel salto con l’asta, trattando il cielo da vecchio amico. Alle feste domestiche si ballavano i veloci e i lenti. ‘Say you say me’ era perfetta, perché alternava il movimento veloce e l’abbraccio lento nella stessa canzone. Qualcuno, nell’angolo in ombra, amava soprattutto la sua solitudine. La prof di matematica, che era una donna buonissima, metteva paura.

Quanti sguardi sono passati. Ma la voce di una mamma, fragile come il cristallo, forte come l’amore, ci avverte che è stato appena ieri. Ma Biagio nella foto sorride come il picciriddo che sarà per sempre. Ma la stanza di Giuditta è ancora lì, come se domandasse: quando tornerà a casa la bambina?

 

 


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