CATANIA – Una spaccatura che, quasi, non fa più notizia. Un partito, quello democratico, che sembra raccogliere più critiche che successi, non solo all’esterno ma anche all’interno dove aumentano le voci di dissenso e le richieste di cambio di passo. A livello provinciale e locale, il Pd sembra un’accozzaglia di nomi e volti, privo di una spinta autonoma e che sembra sempre in attesa di quanto ordinato o deciso da Roma. Il che si traduce in immobilismo di chi, del Pd, è al governo della città – anche di quella Metropolitana – oltre che in una emorragia di consensi, già evidenziata alle ultime Amministrative. Ne abbiamo parlato con il consigliere comunale Niccolò Notarbartolo, componente del Partito democratico, che, senza peli sulla lingua, analizza lucidamente la situazione attuale, di totale impasse, esortando i suoi a cambiare passo, a uscire dal vortice dei personalismi, per riportare la politica all’interno del partito e questo a contatto con i cittadini. Soprattutto in vista della Festa dell’Unità che, quest’anno, si svolgerà a Catania.
La festa dell’Unità a Catania. Che pensa della decisione del Governo di organizzare un evento del genere nella città dove il partito – se c’è – risulta letteralmente diviso?
La scelta della Sicilia e di Catania non hanno nulla a che vedere con le vicende locali. Anche perché non credo che le nostre beghe siano oggetto di attenzione da parte del partito nazionale. L’organizzazione, com’è stato ampiamente chiarito, sarà gestita da Roma. E, aggiungo: menomale che nessun particolare sforzo organizzativo sia stato richiesto a questa federazione provinciale. La festa dell’Unità è un momento per rilanciare il dibattito: ci saranno il presidente del consiglio, ministri e parlamentari. Per me qualunque spazio di confronto ha un valore.
Che pensa, da interno alla compagine democratica, della gestione Napoli?
Il momento storico impone ai partiti profondi cambiamenti. Mutuando la definizione di società data da Bauman, Veltroni teorizzava il partito liquido. Bersani era legato a un’idea di partito strutturato rigidamente sul territorio. Renzi parla di partito aperto e inclusivo, adatto a una società “post-ideologica”, che dubito possa esistere per un lungo tempo. E, francamente, non penso neanche che debba esistere. Enzo Napoli, più o meno consapevolmente, interpreta questa transizione storica scegliendo la via di un partito liquido, ma senza contenitore. Per continuare con questa metafora, questa scelta ci ha fatto colare a terra sparsi in mille rivoli. Questo significa che non siamo in grado di prendere posizioni autonome. Un dato che risulta ancora più evidente quando qualcuno ci dà un’indicazione e noi non facciamo altro che adeguarci. Un partito che non ha spessore si conforma. La segreteria politica non ha tracciato una linea: Enzo Napoli spesso non è presente a Catania e sicuramente ha le sue colpe. Ma un partito non può essere una persona.
Le correnti: tante, troppe, con visioni spesso agli antipodi. È un’analisi corretta o pensa che siano, per Catania e per la Sicilia, valori aggiunti?
Non è vero che a Catania ci sono molte correnti. A Catania ci sono molti onorevoli e altrettante segreterie, che è cosa diversa. Una corrente si fonda attorno a un’idea, e attorno a quell’idea si riuniscono persone che vogliono battersi per determinare la linea politica del partito. Con l’obiettivo di determinare anche quella delle istituzioni. In questa città quelle che chiamiamo correnti si fondano attorno ai cognomi e spesso si limitano a difendere interessi particolari. O, peggio, personali. A Catania la politica pare essersi trasformata nel fine, e non nel mezzo attraverso il quale tentare di migliorare le condizioni di vita della collettività. Sono davvero pochi i politici che ancora credono nel valore delle idee e del confronto. La massa indistinta dei più – questa sì “post-ideologica” – ritiene che sia sufficiente un’organizzazione elettorale di tipo militare con tanti soldatini portatori di voti. Ma la politica può e deve essere anche altro. Mi fa paura che il Pd, invece di interpretare i bisogni delle nuove generazioni e di chi sta peggio, si limiti a inglobare soggetti già eletti, dietro il paravento della ricerca del voto dei fantomatici «moderati». Il problema non è che arrivino persone nuove, è che insieme a loro bisogna costruire un progetto politico. E finora non ci si è riusciti.
Il partito è distante dalla gente. Lo sostengono i suoi stessi esponenti. Che ne pensa? Crede che in questi anni siano stati fatti degli errori? Quali?
Il Partito Democratico locale non dibatte, non si confronta, non ha affrontato in maniera compiuta nessun tema. Però le occasioni non sono mancate: la gestione dell’acqua, il tema dei rifiuti, la legge elettorale. Tutto viene dibattuto e scelto in altri luoghi, e secondo modalità opache, del tutto incomprensibili ai più. A me per primo. Qual è la ragione per la quale i cittadini catanesi dovrebbero avvicinarsi? Mi spaventano molto quelli che si avvicinano a prescindere. Chi non lo fa per discutere e fare politica, troppo spesso lo fa per perseguire intenti meno nobili.
In Consiglio, nonostante il Pd sia il partito del sindaco, il gruppo fa fatica a imporsi e spesso conta pochi esponenti. Qual è il problema?
Il sindaco e noi consiglieri siamo tesserati Pd. Il sindaco però governa grazie a una coalizione ampia. Trova appoggio in chi per quindici anni ha assicurato il medesimo consenso ai suoi predecessori. Eppure i precedenti amministratori, pur essendo stati sostenuti dalle stesse persone, spesso vengono demonizzati. Non è una questione di destra o di sinistra, ma di qualità della classe dirigente. Capisco l’imbarazzo del primo cittadino nel dover fare scelte che, in passato, aveva detto di ritenere sbagliate. Ritengo, però, che il migliore contributo che il Pd possa dare al sindaco sia di aiutarlo a prendere decisioni opposte rispetto a quelle prese finora. Bisogna segnare discontinuità con chi ha spinto Catania nell’abisso in cui si trova oggi. Qualcuno tra i consiglieri del Pd, pur vivendo con frustrazione l’attuale situazione (o, più banalmente, perché del tutto disinteressato), pensa invece che sia necessario non disturbare il manovratore e lasciarlo fare. Credo che questo approccio sia figlio delle scarse motivazioni che spingono il loro agire politico. Umanamente capisco la stanchezza e la disillusione che vive chi è in Consiglio da oltre vent’anni e si rende conto di non riuscire a incidere su nessuna scelta significativa per la città.
Tornando alle correnti: in aula qualcuna sembra, sempre, voler sparigliare le carte. Pensa che questo – e il mancato rimpasto – abbia limitato le scelte dell’amministrazione?
Credo che le scelte dell’Amministrazione siano sempre state fatte nel totale disinteresse delle sensibilità presenti in Consiglio comunale. Direi che questa è la cifra stilistica che caratterizza l’azione amministrativa, ma anche la personalità dell’attuale sindaco. A giudicare dalla bassezza del livello del dibattito, che a me pare figlio della migliore tradizione delle giocate natalizie di “Mercante in fiera”, non sempre mi sento di dare torto al primo cittadino.
Quali, secondo lei, le priorità per Catania su cui occorrerebbe concentrarsi.
Sento sempre spot elettorali che promuovono Catania come città turistica, città multi-etnica, città commerciale, città di mare… Il sindaco si è spinto pure a teorizzare la città emozionale. Sebbene sia certamente per miei limiti, certi slanci, per quanto entusiasmanti, se non sono legati alla concretezza dei progetti sono incomprensibili e del tutto inutili. Se avessi la fortuna di poter concorrere alle decisioni sulla città, partirei esattamente da questo: la mobilità, le scelte urbanistiche, un piano commerciale, le aree pedonali e le aree verdi, la ridefinizione dei consumi energetici. E poi c’è il tema della giustizia sociale, in una città in cui la marginalità è diventata la regola, e non più l’eccezione, per troppi cittadini catanesi. Sono tutte cose che si possono tradurre in atti amministrativi concreti. Che per essere realizzati hanno bisogno che questa amministrazione, o la prossima, abbia l’ambizione per immaginare un’idea su cui costruire il proprio futuro. E la tenacia di perseguirla. A Catania abbiamo dimenticato il significato della parola «programmazione».
Il Pd rischia di essere punito alle prossime elezioni, come già accaduto con le ultime amministrative?
In quasi tutti i Comuni c’è qualcuno del Pd che ritiene di aver vinto. In quel partito di onorevoli descritto prima, c’è qualcuno che si crede vincitore per aver fatto perdere qualcun altro. O perché qualcun altro potrebbe perdere in futuro. Alle scorse elezioni il partito ha perso molto prima che lo sancissero gli elettori. Nell’inconsistente partito locale si dissolvono anche le responsabilità politiche della sconfitta. Il segretario Napoli può stare sereno, nessuno lo rimuoverà dalla sua poltrona. Anche per l’oggettiva difficoltà di trovare dove sia.