CATANIA – “Il clan lo guidavo io, tramite un telefono detenuto nel carcere di Siracusa”. Salvatore Bonaccorsi, dunque, avrebbe comandato i Carateddi, frangia militare del clan Cappello di Catania, direttamente da dietro le sbarre almeno fino all’estate scorsa. Una rivelazione che – se riscontrata – potrebbe accendere i riflettori sulle crepe del sistema penitenziario. Il giovane boss dei Carateddi è stato sentito come teste nel processo d’appello Revenge 5, che vede alla sbarra il gruppo dei Cappello di Monte Po. Nel corso dell’esame del Pg il collaboratore di giustizia ha sviscerato la mappa militare della cosca. Dagli albori fino al giorno della sua decisione di saltare il fosso.
Salvatore Bonaccorsi è figlio del capomafia Concetto. I due, la scorsa estate, hanno deciso di collaborare con la giustizia. Pare essere stata la decisione del giovane boss a spingere il genitore, catturato dopo un periodo di latitanza in Toscana, a fare la stessa scelta. Ancora del capomafia e killer però non c’è alcun verbale depositato nei processi.
Ma procediamo con ordine. Torniamo all’udienza che si è svolta davanti alla prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania. Salvatore Bonaccorsi in un’ora di esame ha svelato anche i motivi che lo hanno spinto a collaborare. “Per avere un futuro migliore io – racconta – mia moglie e i miei futuri figli. Sono dodici anni che sono dentro, e non ho avuto nemmeno l’opportunità di avere bambini”, spiega quasi con amarezza. Detenuto dal 2006. Ininterrottamente. “Una scarcerazione nel 2011 durata 56 giorni”. Bonaccorsi ha contato i giorni che ha trascorso da uomo libero.
Poi racconta la sua vita da mafioso. “Sono entrato a far parte del clan fine 2004, inizi 2005”. Da quel momento tutto cambia per il figlio di Concetto Bonaccorsi. E ad un certo punto, quando tutti vanno in galera, dovrà prendere il comando. E quando fuori non ci sarà nessuno con le capacità per reggere le sorti del gruppo criminale toccherà ancora a lui. Anche da detenuto.
La mappa del clan è subito descritta. “Il gruppo dei Carateddi è formato da mio zio Ignazio Bonaccorsi, Antonino Bonaccorsi, Sebastiano Lo Giudice, Concetto Bonaccorsi, cioè mio padre, io. E subito un paio di anni dopo i nostri arresti sono subentrati Simone Bonaccorsi, Concetto Bonaccorsi, Salvatore Bonaccorsi, figlio di Sergio Bonaccorsi. In pratica – dice chiaro e tondo – il clan è formato dalla famiglia Bonaccorsi”. Il cognome ha un peso nella mafia.
La linea di comando? “Il gruppo è stato comandato da mio cugino, Sebastiano Lo Giudice e Antonino Bonaccorsi. E da me quando io ero fuori e fino all’ultimo, prima che io collaborassi con la giustizia”. Ed è in questa risposta che fa la rivelazione che scuote il sistema detentiva. Quella che avrebbe “guidato” il clan avendo a disposizione un telefono “dal carcere di Siracusa”. E continua: “Qualsiasi cosa c’era me la vedevo io”. Bonaccorsi sarebbe in grado anche di dire anche chi ha preso nell’ultimo periodo il ruolo di capo. “Attualmente guida Simone Bonaccorsi e Concetto Bonaccorsi. È guidato a tronconi da tutti. Familiarmente. Poi ovviamente se non c’eravamo noi, c’erano gli affiliati”.
Salvuccio Bonaccorsi, durante la sua reggenza, si sarebbe occupato di tutto. Anzi quasi di tutto. “Non ho avuto la sfortuna di commettere omicidi, ma i miei ruoli erano tutti, perché essendo il capo del clan dei Carateddi qualsiasi decisione c’era la dovevo prendere io e la dovevo azionare io”.
Traffico di droga e rapine. L’ascesa criminale dei Carateddi arriva nel 2007, dopo la scarcerazionr dello spietato killer Sebastiano Lo Giudice (in una requisitoria, una pm l’ha descritto come l’Isis della mafia, ndr). “Iniziammo a procedere con le rapine, perché dovevamo fare più soldi possibile”, rivela Bonaccorsi.