PALERMO- Quando la polvere balorda di un assassino che ha provocato dolore infinito sarà dimenticata, il sorriso di Carmela splenderà ancora come un’alba nell’ora più buia.
E non è giusto che la vita di Carmela Petrucci, troncata a soli diciassette anni, sia ricordata soltanto da una sacrosanta sentenza che, di recente, ha condannato Samuele Caruso, il suo boia, all’ergastolo. Per questo, bisogna affrontare la via crucis amorevole della memoria.
E’ crudele ritornare sui passi che precedettero il delitto, nell’androne di un palazzo di via Uditore a Palermo. E’ terribile immaginare la scena: l’omicida – accecato da un bestiale senso di rivalsa, dopo un respingimento – che esce dall’ombra della sua viltà e sferra fendenti mortali. E’ penoso, perché pensi che stai approfondendo la ferita, chiedere a Serafino e Giusi – i genitori di Carmela: lui con una barba più bianca di ieri e con gli occhi di un uomo dolce e severo che patisce l’inferno, lei con una tenerezza di mamma che strazia – notizie della figlia che non hanno smesso mai di amare. Eppure è necessario, perché l’ultima parola sia lo specchio di un legame che niente, neanche la violenza, può recidere.
La corte di Cassazione ha scolpito il tratto estremo della giustizia degli uomini. “La sentenza – ha scritto LiveSicilia per la penna di Riccardo Lo Verso – diventa definitiva. Samuele Caruso deve scontare l’ergastolo per l’omicidio di Carmela Petrucci. La studentessa di 17 anni fu assassinata il 19 ottobre 2012 nell’androne dello stabile in cui viveva, in via Uditore, a Palermo. La ragazza e la sorella Lucia, ex fidanzata dell’assassino, furono aggredite da Caruso a coltellate. Lucia restò gravemente ferita, mentre per Carmela, non ci fu niente da fare”. “Stavo uscendo dall’ufficio – dice il signor Serafino – ricordo le urla di mio figlio al telefono”.
Casa Petrucci è il teatro di una bontà dignitosa che ha costruito, mattone dopo mattone, i rifugi che credeva sicuri. Nel salone, c’è una foto grande di Carmela e ce n’è un’altra più piccola, sul comò, accanto a quella della nonna, scomparsa da poco. C’è un’immagine di Papa Francesco, messa lì per proteggere e benedire.
“Carmelina – racconta Giusy – era una bimba intelligentissima”. La memoria spazia fino a un tempo felice, intoccato: “Si figuri che a scuola è stata sempre un prodigio. Ha superato, piccolissima, gli esami per la primina. Quando suo fratello era al liceo, lei, che frequentava la media, recitava già a memoria l’alfabeto greco”.
“Era la bambina che ogni padre avrebbe voluto – dice Serafino -, bella, buona, sensibile. Sono orgoglioso delle mie figlie e di mio figlio. Nemmeno il lutto può farci dimenticare la gioia di avere messo al mondo ragazzi tanto speciali”. Mamma Giusy annuisce. Com’era la voce di Carmela? Ci riflette un attimo, Giusy. La evoca: “Sottile, aggraziata, una fonte d’acqua”. E pare di sentirla zampillare, tra l’ingresso e il salone. Serafino conferma: “E’ come se Carmelina dovesse aprire la porta e tornare qui da un momento all’altro. Quando ci mettiamo a tavola la sera, la sua assenza è un pugno nello stomaco tremendo. Eravamo cinque, siamo quattro. Certe volte il pianto scoppia all’improvviso. Continua per ore. E non si ferma più. Noi neanche sapevamo chi fosse quel ragazzo. Ora, purtroppo, sappiamo che uno sconosciuto è piombato nella nostra tranquillità per portarci via tutto”. E il cammino della giustizia degli uomini, che i Petrucci hanno affrontato, accompagnati dall’avvocato Marina Cassarà, non ridarà indietro niente.
In ogni casa che aspetta il ritorno di un figlio, restano i segni del suo passaggio. “Abbiamo conservato le sue cose – prosegue Serafino -: i vestiti, le scarpe di Carmelina, i poster con l’adorato Ligabue. La sua stanza è intatta. C’è l’armadio, ci sono i comodini…. A Santa Maria di Gesù, dove riposa, abbiamo fatto in modo che ci fosse uno striscione del suo cantante preferito”. “Carmelina era l’amore di tutti – dice Giusy -. E amava tutti. Amava Ciuffo, il suo coniglietto bianco. Amava la sua famiglia. Amava i suoi amici. Ovunque portava la pace e un sorriso. Non siamo rimasti mai soli. I compagni di scuola, anche se sono cresciuti, sono sempre qui, con noi. E ci danno coraggio. Noi viviamo per lei e vivremo per lei sempre, fino alla fine”.
E’ il momento opportuno del congedo, dopo tanto sanguinare. Il cane Lillo, donato a Serafino da un collega, scodinzola e fa festa. Le lacrime, adesso, si sono come raggrumate e solidificate nel rifugio che chiedeva solo serenità. Il saluto sulla porta è un gesto affettuoso e tormentato. E’ l’ora più buia. Ma ci sarà un’alba da qualche parte. Ci saranno ancora sorrisi spontanei, abbracci per cercare sollievo. Ci sarà ancora amore, sognando Carmela, di là, nella sua stanza.