CATANIA – Vent’anni per Maurizio Zuccaro, 13 anni per Rosario Zuccaro, assoluzione per Filippo Zuccaro «per non avere commesso il fatto». È una fotografia di famiglia quella che emerge dalla sentenza di primo grado del tribunale di Catania per il processo Zeta. Il procedimento che prende il nome dal più famoso tra i suoi imputati: Filippo Zuccaro, cioè il cantante neomelodico Andrea Zeta, finito in manette a marzo 2019 con l’accusa di associazione mafiosa e adesso assolto in primo grado. Secondo gli investigatori, lui e il fratello maggiore, Rosario, avrebbero gestito gli affari della famiglia Santapaola-Ercolano per conto del padre, il boss già ergastolano Maurizio Zuccaro.
Ieri il processo ordinario di primo grado scaturito da un blitz di cui, per via della fama dell’artista, si era parlato in tutt’Italia, si è concluso. Con una lunga serie di assoluzioni. Andrea Zeta, difeso insieme al fratello dall’avvocato Salvatore Centorbi, non sarebbe stato, secondo la prima sezione penale del tribunale di Catania, coinvolto negli affari del clan. Non in quelli legati alla presunta estorsione alla discoteca Ecs Dogana club di Catania che, per la procura, era un “pizzo” conteso tra Santapaola e Cappello. E cioè tra i rampolli più illustri delle due famiglie: Rosario Zuccaro da una parte e Massimiliano Salvo dall’altra.
«Gliel’ho detto: “La colpa è tua”. Perché lui doveva rimanerne fuori. Gli ho detto: “E tu ti sei infilato a livello loro”», riportava il giovane Andrea a colloquio con il padre, nel carcere di Milano Opera. Spiegando che il fratello avrebbe dovuto, a suo avviso, tirarsi indietro. Se il “controllo” di quel locale era nelle mani dei Cappello, che senso aveva mettersi in mezzo? «Lui lo sa che è in torto», diceva l’artista parlando con il padre. «È giusto», ammetteva Maurizio Zuccaro ascoltando il figlio. Era il 2016 e per gli investigatori quella era la prova di un rapporto in cui il termine “famiglia” si allargava a comprendere la cosca. Una tesi che i giudici non hanno sposato, ritenendo che l’associazione mafiosa esiste – e Rosario e Maurizio Zuccaro ne sono parte, da cui la condanna – ma Filippo Zuccaro non c’entra.
Assolte anche le altre persone che, nel processo con rito ordinario, erano coinvolte, in vario modo, nel caso ECS Dogana e nell’ormai famosa riunione tra Santapaola e Cappello per spartirsi il controllo della discoteca. Michela Gravagno, ex compagna del gestore della discoteca, era accusata di essere diventata una testa di legno di Rosario Zuccaro nella gestione del ristorante Pititto, chiuso da tempo, a San Giovanni Li Cuti. Il fatto, per i giudici, non sussiste e lei è stata assolta. Stessa decisione presa a proposito di Melo Raciti, difeso da Vito Distefano, noto imprenditore proprietario del lido Le Capannine e indicato da diversi pentiti come vicino agli Zuccaro, ma sempre risultato estraneo a ogni coinvolgimento. In questo caso, era finito coinvolto nell’inchiesta per alcuni passaggi societari legati alla gestione del ristorante: anche lui assolto perché il fatto non sussiste.
Giovanni Fabio La Spina, figlio dell’ex consigliere comunale di Misterbianco Riccardo La Spina, era accusato di associazione mafiosa e dell’estorsione all’ex Dogana ed è difeso dagli avvocati Valeria Rizzo e Salvatore Catania Milluzzo, pool difensivo anche di Gravagno: è stato assolto dal primo capo d’imputazione per non avere commesso il fatto e dal secondo perché il fatto non sussiste. La Spina è stato notato più volte dagli investigatori in compagnia di Rosario e Filippo Zuccaro. Un legame di amicizia e di fiducia stretto al punto da essere stato lo stesso La Spina presente all’incontro all’ECS Dogana tra Rosario Zuccaro e Massimiliano Salvo.
Tra novanta giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza. Nel frattempo, però, Andrea Zeta annuncia il suo grande ritorno a Catania: il 31 marzo in concerto al Teatro Metropolitan di via Sant’Euplio. Il posto in cui era avvenuta la sua consacrazione di fronte a un pubblico vastisissimo, poco prima di essere arrestato.