Catania, quella Pescheria sempre più turistica e meno Mercato

Catania, quella Pescheria sempre più turistica e sempre meno Mercato

Una non-evoluzione che pare portare pochi benefici
L'APPROFONDIMENTO
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CATANIA – “Il mercato esiste perché ci siamo noi e finché ci siamo noi”. Anche se “noi”, stanno scomparendo, e neanche lentamente: in un paio di anni, le storiche botteghe della Pescheria e i loro banchi colorati, si sono ridotte, “decimate” sostiene qualcuno, chiuse o soppiantate da ristoranti e localini per turisti. 

Lo storico mercato del pesce alle spalle di piazza Duomo, che caratterizzava Catania in tutto il mondo, in pochi anni ha cambiato volto, diventando attrazione turistica ma perdendo la linfa vitale. Per qualcuno già non esiste più, “diventata lo sfondo per le foto dei turisti che scattano ma poi non si fermano a comprare nulla”.

Il racconto quotidiano

Dagli ombrellini appesi tra i palazzi settecenteschi, moda mutuata dalla Spagna e diventata subito virale in ogni dove, alla chiusura di molte botteghe il passo è stato breve, ci racconta chi lì, in Pescheria, lavora da cinquant’anni.

“Ci sono i ristoranti, i b&b, ma noi siamo abbandonati” – sostiene -. La sporcizia è solo una delle cose che lamenta il commerciante: “La mattina sono costretto a pulire il marciapiede dai rifiuti – continua – e a lavare con il disinfettante, dal momento che la sera, qui, diventa un orinatoio”.

Il tutto, di fronte un mercato svuotato o quasi degli avventori che facevano la spesa: l’incasso, a mezzogiorno, è di appena 50 euro, a fronte di un affitto di 800 euro al mese. “Ho tre figli e faccio questo mestiere da sempre – aggiunge – oggi, tutto è per i turisti che, però, non spendono”.

Tanto turismo ma poco mercato

La sopravvivenza degli storici esercizi che da sempre hanno caratterizzato la Pescheria è dunque messa a dura prova dalla trasformazione in chiave turistica, dettata dal mercato e, a quanto pare, inarrestabile. Ma c’è chi resiste nonostante intorno molti abbiano chiuso o ceduto la propria bottega per l’ennesimo ristorante.

“Va male, malissimo – afferma Luigi Toscano – . Lui, in Pescheria ci è praticamente nato. Il padre aveva una macelleria e ora il titolare è lui. “Siamo pieni di problemi, a cominciare dalle strade chiuse e dall’assenza di parcheggi, così non può ‘scendere’ più nessuno”.

Meno avventori locali, dunque, anche per via del fatto che molti bottegai hanno chiuso battenti. Un cane che si morde la cosa. “Senza guadagni si chiude” continua Toscano, che indica la bottega alla sua destra, serrata, e quella a sinistra diventata un ristorante.

“Hanno chiuso quasi tutti ma io resto”

“La ristorazione va avanti e le botteghe le prendono tutte loro – continua -. In questa via, prima, non c’era nemmeno lo spazio per passare. Guardi ora”.

In tanti hanno venduto o ceduto l’attività, ma lui no. Lui vuole restare. “Io sono nato lì – ci dice indicando uno dei palazzi storici all’interno del mercato -. Negli anni ho visto cambiare tante cose: quello che c’era prima non c’è più. Macellerie, fruttivendoli, panifici: hanno chiuso quasi tutti.

L’amministrazione pensa solo ai turisti, mentre noi non incassiamo più di 200 euro. Qui eravamo in quattro, oggi ci sono solo io“.

Poco più avanti, la bottega è diversa (vende frutta) ma la situazione è identica. “Una buona parte degli esercizi hanno chiuso – commenta un altro operatore che preferisce non dire il nome. Non c’è più nessuno e quei pochi che siamo rimasti cerchiamo di difenderci come meglio possiamo, con prezzi bassi e offerte”. 

“Non sappiamo di chi è la colpa – continua -: quel che posso dire è che l’attrazione per i turisti siamo noi, sono le grida del mercato e i suoi colori. Senza di noi, questo posto è uguale a tanti altri. I locali sono belli, ma fino a quando erano pochi: oggi sono tanti, forse troppi”. Anche lui non vuole arrendersi. “Finché posso resistere, resisto”.

Resistere. Anche Chiara Musumeci, seconda generazione di una famiglia macellai, ripete che vuole resistere. “I miei genitori sono qui da 40 anni e io sto iniziando questo percorso”, ci dice.

La Pescheria è cambiata rapidamente, si è trasformata in un punto di ristoro più che altro. Gli esercizi storici sono sempre meno e gli affari non vanno come prima”. Anche Chiara addita la difficoltà a raggiungere il mercato tra i motivi del suo svuotamento.

“Ci difendiamo”

“I catanesi non vengono più. Noi ci difendiamo con il domicilio, ma nessuno viene più qui a fare la spesa”.

Chiara non addita solo le scelte portate avanti dalle varie amministrazioni, ma fa anche autocritica. “Vero che i ristoranti hanno di fatto cambiato il volto alla Pescheria, ma è una evoluzione – afferma -. Una tendenza di cui noi bottegai avremmo potuto approfittare e invece in tanti hanno preferito vendere. Ma noi – ci dice prima di servire un cliente – non ce ne andiamo da qui”. 

In piazza dell’Indirizzo, un gruppo di turisti triestini ci conferma che “la Pescheria sono i banchi colorati e le merci vendute” ci dicono, mentre la guida che è con loro scuote la testa. “È vero che questo posto sta scomparendo – afferma – ma in parte è anche colpa di chi, negli anni, non si è voluto evolvere”.


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