CATANIA – È stata un’impresa tutt’altro che semplice convincerlo a parlare pubblicamente di politica e soprattutto di sindacato, dopo anni di stop. Totò Leotta è stato segretario provinciale della Cisl catanese dal 1997 al 2008. Undici anni filati, mentre Raffaele Bonanni guidava da Roma la confederazione cattolica per eccellenza.
Una stagione per molti aspetti irripetibile. E non solo perché la formula della Triplice rischia di essere archiviata: con Cgil e Uil ancorate a sinistra e la Cisl che ha adottato, invece, la linea della non opposizione pregiudiziale al governo Meloni. Intanto, Leotta fa altro e dalla sua Pozzillo, con lo sguardo rivolto al mare, osserva con un po’ di amarezza il quadro attuale.
Totò Leotta, difficile saperla con le mani in mano: di che si sta occupando ultimamente?
“Faccio l’esatto contrario di quello che facevo prima. Tra molte virgolette, posso dire di fare l’imprenditore: sono amministratore di un’azienda che si occupa di pelletteria di lusso. Ci stiamo facendo conoscere in giro per il mondo. E non soltanto nel territorio siciliano”.
Da ex sindacalista, come si trova in questa nuova veste?
“Volevo che l’azienda fosse rispettosa dei valori per cui mi sono tanto battuto e ci stiamo riuscendo. Le dico solo che 400 metri quadrati del palazzo in cui abbiamo sede sono destinati ai lavoratori: sala ricreazione, sala mensa, palestra e spogliatoi. Tutto a misura di lavoratore”.
Durante la sua segreteria provinciale, Catania era l’unica piazza in cui la Cisl superava la Cgil per numero di iscritti: ne va fiero?
“Un bel primato, certamente. Sì, in quella fase superammo i 72mila iscritti. Numeri che hanno sorpreso anche me”.
E come se li spiega?
“Devo dire che sono stato avvantaggiato dal fatto che Turi Monti, prima di me, avesse costruito un sistema interno molto interessante e molto rispettoso dei principi Cisl. Io credo di aver aggiunto un qualcosa in più che ha permesso alla nostra confederalità di penetrare con più facilità nel tessuto delle aziende e nel territorio. Ed ecco i risultati”.
Cambiando le regole del mondo del lavoro, con tante partite iva e contratti a tempo, finisce anche quella fase di aggregazione sindacale: è d’accordo?
“Rispetto ad allora, ci sono più lavoratori. Ma è cambiato il modo di esserlo. Il sindacato, però, non è riuscito ad adattarsi a queste nuove condizioni. È diventato sempre più una sovrastruttura e non – per intenderci – la struttura animatrice del fuoco che ardeva nelle aziende”.
Un tempo la Cisl ha aveva un rapporto privilegiato con la Dc, poi con la Margherita e il Pd. Qualcosa è mutato anche in tal senso?
“Io non ho vissuto la collateralità con la Dc, la mia segreteria è arrivata dopo, quando il rapporto con i partiti era già mutato. Il sindacato era qualcosa di diverso, aveva altri metodi. E in quella fase storica, dopo aver incassato le grandi conquiste dei decenni precedenti, abbiamo cominciato a ragionare su ciò che atteneva alla vita del lavoratore e a partire dalla sua prospettiva, dalla casa e non solo. Questa ricerca, a mio parere, non c’è più…”
In passato, il rapporto tra Cisl e le strutture diocesane era anche più intenso, non crede?
“Sicuramente, è stato infatti un mio impegno rinverdire la cultura del cattolicesimo sociale, cercando di mettere assieme tutte quelle sigle, a partire dalla Acli, che avessero i medesimi valori. Costruire cioè un soggetto che, a partire dai problemi dei lavoratori, interpretasse tutto ciò che accadeva nel sociale alla luce del magistero della Chiesa”.
L’arcivescovo di Catania è un uomo che si occupa direttamente di questioni sindacali, le dispiace non avere potuto collaborare con lui?
“Sinceramente, sì: non posso negarlo. Me ne hanno parlato un grane bene e ne approfitto per mandargli gli auguri di pronta guarigione. Non mi dispiacerebbe affatto incontrarlo per riflettere assieme su tante questioni. Il confronto è un’arma importante”.
Anche il messaggio sociale della Chiesa ha difficoltà a penetrare nel mondo del lavoro.
“Sì, credo che questo sia un segno dei tempi e della parcellizzazione che si è determinata nel mondo della Chiesa. C’è la necessità di costruire non tanto una nuova monoliticità, oggi peraltro impensabile, ma una nuova sintesi, questo sì”.
Si ritiene nostalgico degli anni della sua militanza sindacale?
“Sì, anche perché, al contrario di ciò che vedo ora, per me era una missione. Il sindacato non era un luogo per traccheggiare o cercare una qualche possibilità personale. Per me era un impegno quasi eroico”.
In un momento storico nel quale il centrodestra aveva il vento in poppa, nel 2008, lei accetta la candidatura alla presidenza della provincia: perché qual sacrificio?
“Sì, fu un vero sacrificio. Era un momento particolare: all’interno della mia organizzazione stava avvenendo una mutazione. Davanti a ciò, non volevo tirarmi fuori in assoluto silenzio. E ho scelto quella strada, ma confesso di essermene poi pentito”.
La Cisl di Luigi Sbarra ha assunto una postura dialogante con il governo Meloni a partire dal tema della Partecipazione, si riferisce anche a questo quando parla di mutazione genetica?
“I prodromi di tutto ciò c’erano già ai miei tempi, il cambio è avvenuto già con Bonanni. Ricordo che allora vivevo una lotta impari con il presidente, prima della Provincia poi della Regione, Raffaele Lombardo. E da Roma arrivavano le sollecitazioni per trovare un’intesa. Per me era una cosa allucinante. Il mio segretario nazionale, però, puntò tutto all’accordo con lui. Lo fece sulla mia testa e io non l’ho gradito”.
Dicono che lei tenesse testa a Raffaele Lombardo, è vero?
“Sì, non lo nego. Mi è costata tanta fatica e altrettanti sacrifici: ma nel periodo in cui ero in sella ho cercato di ribattere punto su punto alla sua persona. E la storia, tra qualche chiaro e qualche scuro, credo mi abbia dato ragione”.
Tornando al mondo sindacale, l’impressione è che l’esperienza storica della Triplice stia andando a esaurirsi: con Cgil e Uil che puntano a sinistra, mentre la Cisl vuole mani libere.
“Anche la pianta del sindacato deve essere annaffiata e non vedo nessuno, oggi, che stia lavorando affinché ci sia unità. Uno degli errori più grossi che sta facendo la Cisl è di immaginare che nella solitudine possa portare a casa un progetto per i lavoratori. Ci sono differenze con la Cgil, anche rispetto a un certo protagonismo politico, ma serve chi possa richiamare loro all’interesse esclusivo dei lavoratori. Questo farebbe bene a tutto il movimento sindacale”.
E i referendum lanciati dalla Cgil?
“Ritengo che il Jobs Act non vada sposato acriticamente. Credo che siano stati fatti degli errori di valutazione, quando al governo c’era Matteo Renzi: è stata accettata una situazione dogmatica che mal si attaglia al reale”.
E sull’Autonomia differenziata?
“Si rischia davvero di avere un paese parcellizzato, dove i territori più poveri saranno sempre più poveri e quelli ricchi irraggiungibili”.
L’attuale segreteria catanese è allineata a Luigi Sbarra, segretario nazionale Cisl. Intervistato dal nostro giornale, Attanasio non ha risparmiato critiche verso la vecchia guardia: che ne pensa?
“Credo che si debba avere rispetto per quelli che ci sono stati prima, anche quando non sono stati all’altezza del ruolo. Oltretutto, in questo momento storico, non vedo eroi. Non può essere un merito criticare le stagioni pregresse. Poi ognuno farà le considerazioni che crede”.
La confederazione catanese della Cisl, dal suo punto di vista, è unita?
“Non credo che ci sia lo stesso spirito di confederalità di quando ho lasciato la segreteria. Vedo due fenomeni emergenti che mi lasciano perplesso. Il primo: le federazioni sono eccessivamente autonome. Il secondo: c’è una soggezione crescente verso altri territori, Palermo in particolare”.
Si spieghi.
“Io avevo un atteggiamento differente e difendevo a spada tratta anche i segretari che mi erano ostili se provenienti da Catania. L’egemonia sui territori non fa bene né a Palermo né all’organizzazione”.
Le sue sono accuse pensanti, ma allo stesso tempo noto un certo pudore nel parlarne. Qual è il suo stato d’animo?
“Beh, c’è sicuramente amarezza nel vedere certe cose che avrebbero potuto prendere ben altra piega”.
Leotta, tornerà mai a fare sindacato?
“No, non credo. Sono in fase avanza di disintossicazione e spero di poterne uscire. Ho sofferto tantissimo l’isolamento successivo, anche se ho ricevuto tante attestazioni di affetto, anche da parte dei miei critici più feroci. E questo mi basta. No, non tornerò”.