“L’uccisione di mio padre non interessa nessuno”. Le parole di Michele Costa – figlio di Gaetano, procuratore della Repubblica assassinato dalla mafia – andrebbero incise nel calco dell’ipocrisia degli antimafiosi di professione. Tutti bravi a farsi vedere, con pedigree legalitario al seguito, il 23 maggio o il 19 luglio, nei giorni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tutti schierati, con bimbetti incolpevoli e imberrettati, a organizzare i cori da stadio: “Gio-van-ni e Pa-olo”. Ma quando si tratta di ricordare una vittima con meno appeal dei caduti di Capaci e di via D’Amelio, i maratoneti della commemorazione rimangono a casa. E questo va detto non per togliere qualcosa a persone che hanno meritato ogni pezzetto di ricordo e gratitudine, ma per mostrare il vuoto che circonda la memoria, se il dolore non suscita pathos e non muove posizioni in classifica.
Non c’era quasi nessuno, ieri, in via Cavour, a Palermo, per rammentare il sacrificio del procuratore Costa. C’erano corone già avvizzite di fiori, c’era la lontananza di troppa politica che non ha voluto nemmeno fingere di essere vicina. E c’era Michele, con la sua amarezza: “Prima si dimentica mio padre – ha detto – meglio è. Questa passerella è stata sempre scomoda. Altre sono state certamente più comode. Per questo ho sempre alzato la voce, anche con la magistratura che non ha fatto quello che andava fatto per arrivare alla verità. Ho protestato contro la società civile e con quella parte politica di cui mio padre e la mia famiglia hanno storicamente fatto parte”.
Già, ma la cosiddetta ‘società civile’ è un’acqua che scorre – sempre più labile – solo perché i suoi rabdomanti la convocano. Scorre per Falcone e Borsellino ma non per Gaetano Costa: come mai? Forse perché, sotto la sua lapide, in quella facciata di via Cavour, non c’è un vessillo della Trattativa da sventolare. Forse perché non accorrono le telecamere delle grandi occasioni. O forse perché, nella fattispecie, non sussistono – nemmeno a cercarle – occasioni di polemica con un Presidente della Repubblica o un Presidente del Consiglio. Costa era solo un servitore dello Stato e a volte può anche capitare che chi porta un cognome antimafioso di serie A non intenda confondersi con quella che i professionisti scambiano per una categoria inferiore.
E’ la lezione che Michele, figlio di Gaetano, ha imparato sulla propria pelle: non tutti i morti per causa della mafia sono uguali. Anche se il il dolore, l’ingiustizia e le lacrime bruciano allo stesso modo.