Da Palermo il nuovo centrosinistra |La doppia partita di Orlando - Live Sicilia

Da Palermo il nuovo centrosinistra |La doppia partita di Orlando

I ritratti dei candidati - La strategia del sindaco, il rapporto col Pd e la prospettiva delle Regionali.

Amministrative
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Quando all’Ars votarono la nuova legge elettorale dei Comuni, l’idea era quella di segare le gambe ai candidati senza partito. O almeno, così malignò qualcuno. Si decise così di abbassare al 40 per cento la soglia per la vittoria al primo turno. Che alla fine sommando un po’ di partiti di qua e di là, il 40 lo si poteva mettere insieme. Il paradosso è che alla fine quella norma potrebbe favorire Leoluca Orlando, all’epoca del dibattito candidato in pectore senza partiti, oggi candidato di un torpedone di partiti in incognito, a cui l’eterno sindaco ha imposto la rinuncia al simbolo.

Può permetterselo Leoluca Orlando, indiscusso e ingombrante gigante della politica cittadina alla caccia del suo quinto mandato. Lui che divenne sindaco per la prima volta nel 1985, un’altra era geologica, sotto le insegne della Democrazia Cristiana. Navigato, preparato, carismatico, Orlando fa il bello e il cattivo tempo nel campo del centrosinistra palermitano. Il Pd del capoluogo, dopo averlo attaccato per anni senza guantoni, da un giorno all’altro ha deciso che era lui il miglior candidato possibile. E si è accodato, insieme agli alfaniani, ai centristi, ai seguaci di Totò Cardinale, insomma a tutta la maggioranza che alla Regione ha condiviso con Rosario Crocetta la responsabilità politica di questa legislatura. Con loro anche la galassia a sinistra del Pd, in una prova generale di coalizione da replicare, col contributo dello steso Orlando, alle prossime regionali di novembre.

Allo scorso giro, quando come doveva dirlo, in aramaico, che non si candidava, e invece si candidò, il Professore puntò la sua campagna da blitzkrieg sul valore dell’esperienza e dell’affidabilità. “Il sindaco lo sa fare”, diceva il suo fortunato slogan. L’usato sicuro convinse i palermitani con percentuali bulgare, ribadendo ancora una volta il feeling collaudato tra la città e il suo “sinnaco”.

Stavolta lo slogan invita a fare squadra, il che non è mai stato esattamente il punto forte di Orlando, solista per antonomasia, restio a concedere le luci della ribalta a delfini e aspiranti successori, finiti negli anni sempre falcidiati dalla mannaia dell’ego del Professore.

La sua campagna si caratterizza per due elementi. Anzi tutto la rivendicazione dei risultati raggiunti. Che certo ci sono, a partire da una evidente rinascita di un pezzo di centro storico grazie alle fortunate pedonalizzazioni. Insieme ai diversi riconoscimenti internazionali e ad alcune novità sul fronte della mobilità sostenibile. Una narrazione in cui la parola d’ordine è “visione”, quella che a Orlando non è mai mancata. Il secondo pilastro è quello della rispolverata retorica legalitaria e antimafiosa – sempre utile a sviare il dibattito dai risultati meno lusinghieri della sindacatura – che ha riportato in auge gli spartiti degli anni della Rete: ecco così lo lo spettro della “palude” evocato di continuo per attaccare lo sfidante Ferrandelli, che può riportare nelle stanze dei bottoni di Palazzo delle Aquile il centrodestra evaporato nel dopo Cammarata e tornato oggi alla carica con un ruolo dietro le quinte di Totò Cuffaro su cui Orlando ha insistito in più d’una uscita.

La sfida principale per il sindaco è tenere duro nelle “sue” borgate, quelle periferie che lo hanno sempre premiato, quel pezzo di città alla quale in passato Orlando ha saputo parlare con l’abilità del democristiano di razza. È lì che Ferrandelli sta cercando di insidiarlo. È lì che la tentazione del voto per “il 5 Stelle” può far dimagrire il suo granaio di voti. Ed è lì che nelle ultime settimane Orlando ha concentrato i suoi sforzi, girando, stringendo mani e baciando. L’obiettivo per lui è centrare il successo al primo turno (cinque anni fa se ci fosse stata questa legge ci sarebbe riuscito) e scansare i rischi di un ballottaggio che per un uscente rappresenta sempre un’insidia.

Se la riconferma arriverà, la prossima sfida sarà quella delle regionali, con una lista dei territori che potrebbe portare in dote al centrosinistra quel mondo che la scorsa volta sostenne la candidatura di Giovanna Marano. Al Pd ci contano molto e sperano. Curioso che proprio in Orlando il Pd riponga le sue speranze, quello stesso Orlando che nel simbolo della sua Rete scrisse all’epoca “Per il Partito democratico” e che col Partito democratico una volta nato non volle avere niente a che spartire, andando piuttosto a braccetto con Tonino Di Pietro nel suo partitino giustizialista. Ma ora i tempi sono cambiati. “Ora si può fare il vero Pd, come lo volevo io”, dice ai suoi soddisfatto il Professore. Che se c’è una cosa di cui non ha mai difettato è la sconfinata fiducia nei propri mezzi.


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