Da UniCt all'Arabia, il "mercato" dei prof universitari - Live Sicilia

Da UniCt all’Arabia, il “mercato” dei prof universitari

A un prof etneo sono stati offerti 70mila euro per dichiarare di lavorare a Riyad, ma ha rifiutato. Una storia complessa, in un'inchiesta giornalistica internazionale.

CATANIA – C’è un’inchiesta giornalistica che parte da Madrid e arriva a Catania. E riguarda, ancora una volta, l’università. Così dalla testata El País, passando per Il Fatto Quotidiano, viene fuori un sistema che riguarda il mondo della ricerca: presunte collaborazioni “fittizie” con università con sede in Arabia Saudita, contribuendo così ad agevolare l’ascesa di questi atenei nei prestigiosi ranking internazionali. Dopo che in Spagna alcuni professori sono stati sospesi, o costretti a dimettersi, l’inchiesta arriva anche in Italia. Dove Il Fatto svela la presenza, negli elenchi degli atenei sauditi, anche di cinque prof italiani. Tra i quali i catanesi Fabio Galvano e Giuseppe Grosso, ordinari di Scienze dietetiche al Biometec di UniCt, il dipartimento di Scienze biomediche e biotecnologiche.

Secondo quanto riportato dall’Ansa, l’inchiesta di El País riguarda undici ricercatori scientifici attivi nel Paese iberico. “Le università saudite sono alla caccia di autori stranieri altamente riconosciuti e citati in studi scientifici – continua l’agenzia – fattore che aiuta a scalare posizioni nella classifica dei migliori centri di ricerca internazionali”. Con questo obiettivo sarebbero pronti a pagare ingenti somme di denaro agli accademici disposti a indicare sedi saudite come centri di lavoro primari, pur restando nei propri atenei di provenienza. Con conseguenze doppie: da un lato l’avanzamento dei centri di ricerca dell’Arabia Saudita nei ranking, dall’altro la caduta libera degli atenei di provenienza, privi di menti brillanti e pubblicazioni di valore.

Il ministro dell’Università spagnolo ha affermato che “si sta indagando per capire la dimensione del problema“. Ma ci è voluto poco perché il caso varcasse i confini della Spagna e attraversasse l’Europa, arrivando fino in Italia. E toccando, come detto, Catania. In un articolo pubblicato alla fine di aprile da Alessia Grossi e Alessandro Mantovani sul Fatto Quotidiano, il primo a parlare è un docente catanese: Antonio Biondi, ordinario di Entomologia all’università di Catania, racconta di avere ricevuto un’offerta tutt’altro che svantaggiosa. “Nel 2021 e nel 2022 mi hanno contattato colleghi della King Saud University – dice Biondi ai cronisti del Fatto – La proposta era di cambiare la primary affiliation, pubblicare in un anno almeno un articolo con la loro affiliation e andare lì una settimana l’anno. Questo in cambio di 70mila dollari l’anno, più altri possibili fondi per la ricerca”.

Un’offerta che economicamente avrebbe fatto gola, ma che è stata rispedita al mittente. “In questa università ci sono nato e mi ha dato il lavoro che sognavo”, non avrei mai accettato”, confessa Biondi sulle colonne del quotidiano. Stando a quanto si legge, però, le sirene saudite hanno attirato l’attenzione di altri colleghi dell’ateneo catanese. Come gli altri due “highly cited“, cioè i più citati nelle pubblicazioni internazionali, Fabio Galvano e Giuseppe Grosso. “Abbiamo attività di ricerca con l’Arabia Saudita e ci sono soldi di mezzo, ovviamente, ma passa tutto per l’Università. A Ryad vado almeno due volte l’anno”, dice Grosso al Fatto.

Una versione confermata a LiveSicilia dal Magnifico rettore dell’università di Catania, il professore Francesco Priolo. “Si tratta di progetti di ricerca regolari – spiega Priolo a questa testata – per i quali la King Saud versa i fondi direttamente all’ateneo catanese”. Questo, però, non giustifica l’affiliazione saudita dei docenti etnei: “Non c’è stato nessun consenso da parte del nostro ateneo e quindi l’affiliazione deve essere rimossa”, afferma in un’intervista pubblicata questa mattina sulle pagine di questo giornale.


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