PALERMO – Tre gol realizzati, dieci subiti. Per un totale di un punto. I numeri sono impietosi: il tridente d’assalto rosanero non funziona. Da quando mister Iachini ha abbandonato il tanto fortunato 3-5-2 che, oltre a rappresentare il marchio di fabbrica della trionfale cavalcata dalla B alla A, aveva garantito al Palermo un approccio soft alla massima serie, i nodi di una retroguardia ancora priva di Muñoz e Gonzalez e di cui si temevano limiti tecnici e atletici sono subito venuti al pettine. Nelle ultime tre uscite contro Napoli, Lazio ed Empoli i tre centrali sono spesso stati colti d’infilata dalle ripartenze avversarie: le reti messe a segno da Zapata e Callejon nella sfida pareggiata contro i partenopei e dall’azzurro Pucciarelli nel confronto del “Castellani” assurgono agli altari della cronaca nera del disastroso rendimento della retroguardia rosa negli ultimi 270 minuti.
Altra nota dolente è rappresentata dagli errori dei singoli: selezionando un paio di eclatanti episodi non necessariamente riconducibili al lunch match domenicale (in massima serie continua a non portare fortuna ai siciliani), Sorrentino e Terzi hanno spianato la strada al poker calato dalla Lazio al “Barbera” una settimana fa, mentre al “San Paolo” l’altalenante prestazione di Bamba, per fortuna di Iachini, ha solo parzialmente influito sul risultato. Ingenuità, distrazioni, cali di tensione, se reiterati, rischiano di pesare in modo letale sull’esito finale di un campionato che, seppur mediocre, pare non concedere prove d’appello.
Al di là delle déifallances di una difesa il cui rendimento continua a destare più d’una perplessità, il vero enigma irrisolto di questo Palermo a trazione anteriore riguarda la capacità di garantire i necessari collegamenti tra i reparti. Il che finisce per castigare oltre i suoi demeriti una retroguardia che andrebbe sostenuta da un centrocampo più muscolare. Certamente l’infortunio che, in extremis, ha privato Iachini di capitan Barreto può rappresentare un alibi, tuttavia il tardivo inserimento di Ngoyi, che proprio lo scorso anno ad Empoli disputò una delle sue migliori partite in rosanero, ha risuonato come una parziale ammissione di colpe da parte del tecnico di Ascoli Piceno.
Nel trittico di partite che avrebbe potuto dare un senso diverso alla classifica della regina dell’ultimo torneo cadetto, in più d’una circostanza i dieci giocatori di movimento hanno finito per creare una tanto involontaria quanto deleteria frattura tra portatori d’acqua e bocche da fuoco con licenza di offendere, incapaci di venirsi incontro e compattarsi sia in fase di possesso sia quando la palla la giocavano gli avversari. Contro la formazione di Sarri già i primi minuti di partita avevano palesato l’innaturale e, allo stesso tempo, spontanea composizione di due blocchi tra loro privi di congiunzione tattica: da un lato Andelkovic, Terzi, Feddal, Bolzoni e Rigoni, dall’altra il tridente d’attacco. A farne le spese, oltre alla classifica, gli spaesati Morganella e Daprelà, in alcuni momenti dell’incontro costretti a cantare e a portare la croce sugli esterni con risultati peraltro modesti.
Zamparini che boccia a mezzo stampa il proprio tecnico, l’ultimo posto in graduatoria e l’opzione del ritiro “punitivo” completano il quadro di un fine settimana da dimenticare. Gli spettri di una nuova retrocessione, fino a ieri sedati dal bel gioco, sono riapparsi sui cieli del regno rosanero, tornato ad incupirsi come nell’annata della palindroma sequenza di tecnici Sannino-Gasperini-Malesani-Gasperini-Sannino. Il campionato del Palermo può iniziare col Cesena. Servono i tre punti per scacciare i fantasmi e svegliarsi dall’incubo.
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