Che la politica sia spesso ridotta a teatrino si sa, ma forse diventerà vero teatro la guerra che contrappone tanti big siciliani, presenti o assenti in questi giorni al congresso degli autonomisti di Raffaele Lombardo. Ed è fra i saloni di un albergone in riva al raccordo di Roma che rimbalza il progetto del genialoide presidente dello Stabile di Catania, Pietrangelo Buttafuoco, di scritturare come attori due senatori, due pezzi da novanta, anzi da cento chili. L’ex governatore inguaiato per mafia Totò Cuffaro e Mirello Crisafulli, il «barone» rosso di Enna, indicato dai duri e puri del suo partito come l’anima nera della famiglia Pd, svicolato dall’inchiesta su un agitato incontro con un boss, una bolla poi archiviata, «una minchiata» come ironizza l’interessato.
Lui, il versatile presidente-giornalista-scrittore, immaginandoli già in scena nei panni dei due vagabondi protagonisti di «Aspettando Godot», ha rivisto il testo di Samuel Beckett e adattato le battute. Con l’idea che il vero Godot si riveli solo all’ultima scena, con una gigantografia di «Don Raffaele». Metafora di una stagione in movimento segnata per ora dall’assenza, anzi dalla guerra interna fra Lombardo e Cuffaro. Con quest’ultimo che preferisce andare anche in Congo con Crisafulli, come fece alcuni mesi fa, e voltare le spalle al suo successore, indignato perché lascia mano libera all’assessore-giudice Massimo Russo chiamato a «decuffarizzare» la Sanità come se stesse disinnescando la bomba del malaffare.
Ma per capire la genesi della trovata di aspettare l’assente Godot-Lombardo bisogna andare indietro di una settimana, alla proiezione riservata di un film ancora in fase di montaggio, titolo provvisorio «La bella società», attori di primo piano come Giancarlo Giannini e la Cucinotta, e al centro della storia un malacarne interpretato proprio da Mirello, con tutto il suo carico di autoironia, arruolato dal regista Paolo Cugno. Un incontro a porte chiuse ma non troppo visto che Buttafuoco ha raccontato questa serata siciliana sul Foglio rivelando la battuta di Cuffaro, pronto a protestare davanti alle scene col suo amico nei panni del boss: «Eh no, la parte del mafioso spetta a me. Posso esibire carte e certificati». E via gigionando, mentre Cugno si mangiava le mani per non averci pensato prima: «Ho anch’io diritto ad aver una parte nel cinematografo».
E’ scattata così la scintilla per Buttafuoco, testimone dei siparietti di un’allegra e trasversale comitiva composta quella sera anche dall’ex governatore pd Angelino Capodicasa, dall’attuale vicesegretario regionale pd Tonino Russo, seduti accanto al segretario siciliano dell’Udc Saverio Romano e al suo più acerrimo avversario, Giovanni Pistorio, colonnello di Lombardo e primo sponsor di Massimo Russo. Punzecchiature a volontà. Acidità sciolte nell’ironia. Anche da Cuffaro che, religiosissimo, sbotta contro Lombardo: «Posso capire il porgere l’altra guancia, ma non sta scritto che si debba offrire il culo alla pedata. E comunque non s’è mai parlato di porgere l’altra natica». E giù risate a valanga, mentre Buttafuoco cominciava a macinare l’idea dell’«Assente» per il momento perduto sul raccordo. Ma il Godot di Beckett non arriva mai. E forse resta top secret il vero finale, anche per Buttafuoco. Felice Cavallaro
*Tratto da “Corriere della Sera” del 1 marzo 2009