PALERMO – Nuova tegola per il governo regionale sulla gestione dei conti. La Corte dei conti ha sostanzialmente detto “no” alla proposta dell’esecutivo di spalmare in dieci anni il proprio disavanzo. Una idea che sarebbe passata attraverso un nuovo riaccertamento straordinario dei residui. Una “rateizzazione” che i magistrati hanno considerato “inopportuna”. Il motivo? In pratica, si sarebbero scaricati sulle future generazioni gli effetti degli errori compiuti dalla politica in passato.
Cosa prevede il decreto
La notizia è contenuta all’interno del parere delle Sezioni riunite in sede consultiva della Corte dei conti, un parere reso sulla proposta di decreto legislativo in attuazione dello Statuto proposto dalla Commissione paritetica Stato-Regione. La Regione quindi non è la diretta destinataria, ma è come se lo fosse.
Il testo proposto si occupa di introdurre in Sicilia alcune norme contabili riguardanti cioè la figura del cassiere, l’introduzione di un collegio di Revisori dei conti della Regione ed altre norme di natura contabile. L’ultimo articolo riguardava, invece, la possibilità di introdurre delle nuove norme per ripianare il maggiore disavanzo. Proprio su questo tema, però, è arrivato l’altolà dei magistrati contabili: è “inopportuno”.
Un giudizio legato al periodo della spalmatura del buco nei conti regionali. La scelta per le sezioni riunite della Corte dei conti costituisce “fattispecie per certi aspetti analoga” a un caso su cui si era già espressa negativamente la Corte Costituzionale. Proprio sul tema infatti la Consulta aveva deciso di impedire la possibilità che il disavanzo scoperto dopo il riaccertamento straordinario potesse essere spalmato in un lungo periodo di tempo. Lo scopo è evitare che si registri una violazione dell’equità intergenerazionale e cioè che i figli, o addirittura i nipoti, paghino i debiti dei nonni e dei padri. Le future generazioni, come già detto, non possono pagare le colpe della politica del passato.
Il no della Corte dei conti chiude quindi alla possibilità di un ripianamento più lungo. L’articolo stesso infatti prevedeva che queste norme sarebbero entrate in vigore solo dopo l’eventuale parere positivo dei magistrati. “L’ultimo comma dell’art. 8 – sui legge nel parere – condiziona l’efficacia di queste disposizioni al parere di queste sezioni riunite nella sede consultiva”. Rischia di saltare così il piano della Regione per scongiurare il pericolo di dover trovare qualcosa come un miliardo e mezzo entro la legislatura. Cioè entro i prossimi tre anni.
Le intenzioni della Regione
Nelle scorse settimane fonti governative avevano svelato il piano della Regione: puntare a spalmare in dieci anni, il maggiore disavanzo legato alle passate legislature ed emerso negli ultimi due esercizi. Un “buco” equivalente a circa 1,5 miliardi (di cui una parte di quello accertato lo scorso anno, è già stato spalmato in tre anni).
Cos’è il disavanzo? Non è propriamente un debito ma è uno squilibrio fra le entrate e le uscite. Se le uscite superano le entrate allora nasce il disavanzo. Questo squilibrio va sanato e così, per ristabilire la regolarità dei conti Palazzo d’Orleans ha due strade: registrare maggiori entrate o diminuire la spesa e quindi operare tagli alle voci di bilancio.
Il tentativo del governo era quello di ottenere il via libera a una nuova operazione di riaccertamento straordinario in deroga alle norme di settore al momento vigenti. Questa operazione sui residui è stato fatta già nel 2015, durante il governo Crocetta. In quell’occasione, però, stando alle denunce che a più riprese sono state fatte dal presidente della Regione Nello Musumeci e dall’assessore all’Economia Gaetano Armao, non sarebbe stato accertato l’intero disavanzo lasciando dentro il bilancio regionale una “bolla” pronta a scoppiare in occasione dell’approvazione dei rendiconti successivi. Il tentativo dell’attuale esecutivo così è stato quello di rifare l’operazione di accertamento per riuscire a evitare un piano di rientro in soli tre anni e, di conseguenza, la necessità di trovare quelle cifre attraverso tagli al bilancio. Ma proprio a questo tentativo, la Corte dei conti ha detto di no.
Per i magistrati questa operazione riguarda infatti “gli istituti fondamentali dell’armonizzazione contabile” e quindi, una tale competenza dovrebbe essere riservata alla norma statale. “Infatti – così spiegano le toghe nel parere -, dalla sua applicazione può discendere l’effetto che non venga conferita certezza nell’attuazione della nuova contabilità, rimettendo in discussione il riaccertamento già effettuato e allungando i tempi della piena operatività della riforma”. Insomma, per la Corte dei conti il riaccertamento compiuto nel 2015 non è più ripetibile. E così, non è più possibile spalmare in un lungo periodo il disavanzo emerso successivamente. Ora occorrerà capire se si riuscirà a trovare una nuova e diversa soluzione politica o se senza un intervento di Roma per la Sicilia sarà l’ora di manovre lacrime e sangue.