CATANIA – “Ribellarsi è un dovere”. Si conclude così il volantino che preannuncia il blocco nazionale del 9 dicembre. Fra i promotori ci sono anche i Forconi di Mariano Ferro, il movimento che nel gennaio 2012 paralizzò per ben quattro giorni la Sicilia. Ma anche i Cobas del latte, gli agricoltori veneti e più sigle autonome a difesa degli autotrasportatori. Ancora, però, non è stato deciso come e dove avverranno gli stessi blocchi. Molto probabilmente, così come avvenne in Sicilia quasi due anni fa, si opterà per i cosiddetti “presidi di volantinaggio”. San Gregorio sarà probabilmente uno degli snodi fondamentali. Di certa c’è per ora soltanto una aspettativa, quella consegnata dallo stesso Mariano Ferro: “Spero in un nuovo 16 gennaio. Stavolta – spiega a LiveSicilia – ci dovranno ascoltare. L’iniziativa è a livello nazionale. E a differenza di allora, oggi, è il nord del paese a essere messo peggio della Sicilia”.
Quello descritto da uno dei volti simbolo del Movimento dei Forconi, è un disagio che dalla Sicilia si è ormai diffuso su tutto il territorio nazionale e non solo. Complice c’è sicuramente la grande crisi finanziaria di questi anni, ma anche l’insostenibilità del regime fiscale, ritenuto dallo stesso Ferro “vessatorio”. I dettagli della piattaforma rivendicativa del 9 dicembre sono ancora tutti da definire. “I punti – dichiara sempre Ferro – potremmo anche enumerarli su di un foglio di carta, ma lo spettro dei disagi da affrontare sarebbe sempre più ampio e più drammatico rispetto a quello che riusciremmo a rappresentare. Sicuramente – riferisce – c’è da fermare immediatamente le procedure di esecuzione immobiliare. Sono a centinaia in tutta Italia. Bisogna intervenire, poi, abbattendo il costo del lavoro, i costi di produzione e la concorrenza sleale dei paesi stranieri, intensificando tutti quei controlli che ancora non arrivano. Tutto ciò non riguarda solo l’agricoltura, ma tutti i settori”.
Quello di Mariano Ferro sembra essere, dunque, un appello misto di disperazione e disillusione, rivolto all’intero consesso politico: “Il legislatore deve intervenire. Non possiamo essere vessati contemporaneamente dalle tasse, dalla crisi e uccisi dalla globalizzazione. Non è giusto, inoltre, che alla fine di questo strazio, ci vengano tolte pure le aziende. Si deve agire – continua Ferro – con urgenza. Non credo però – chiosa – che entro il 9 dicembre ci saranno segnali di rilancio. Se hanno risposte, bene. Ma non ce l’hanno, già lo so. E francamente, non mi aspetto tanto da dei nominati. Noi non li abbiamo eletti, così come non abbiamo scelto l’attuale governo”.
Nell’analisi del leader dei Forconi è, tuttavia, l’Euro il totem da abbattere: “Il nostro obbiettivo di fondo non è tanto quello di uscire dalla moneta unica, anche se i benefici sarebbero immediati per tutti. Noi vogliamo qualcosa di totalmente diverso: dare ai cittadini la possibilità di scegliere se stare o no nell’area euro. Al centro di questa pretesa – spiega- c’è il diritto alla democrazia. Riteniamo questa pretesa come la madre di tutte le battaglie”.
A scaldare l’animo dei Forconi c’è inoltre il nodo sull’aumento del costo dei carburanti che scatterà da gennaio: “Hanno trovato un bel modo per non farci pagare l’Imu. I primi a soffrirne saranno quei lavoratori già presenti sulle strade. È un provvedimento che deprime l’economia. A gennaio, inoltre, saremo chiamati a farci carico del Fiscal compact. Dovremmo tirare fuori 50 miliardi di euro l’anno. Ma come dovremmo pagarli? Il rischio sarà di stritolare le imprese, lasciando spazio aperto ai cinesi, che pagano 200 euro al mese i propri operai. Insomma, sono tutti meccanismi per distruggere l’agricoltura, il polo tessile di Trapani, il Nord-est. Davanti a questo sfacelo – sottolinea Ferro – questo governo dovrebbe togliere le tende. Il vero problema – chiosa- è che ci sono al comando uomini sbagliati, che non hanno il coraggio di prendere quelle decisioni che potrebbero portare benessere”.
La mobilitazione dei Forconi fa dunque leva su temi di portata continentale. Ed infatti, prima del 9 dicembre, saranno i lavoratori francesi – precisamente il 2 – a incrociare le braccia. “Qui è l’Europa tutta che comincia a traballare. Quel grande progetto di sviluppo che ci avevano proposto si è fermato”. Ed è appunto la vastità della crisi in corso a rendere Ferro impassibile rispetto ai possibili sospetti, come già avvenuto in passato, sulle infiltrazioni criminali all’interno dei presidi: “Non credo proprio che anche stavolta arriveranno accuse di mafiosità. Se arrivassero, scivolerebbero via. Noi non siamo di certo dei mafiosi, siamo soltanto – conclude Ferro – dei lavoratori convinti che lo Stato non appartiene ai soli Berlusconi, Bersani e D’Alema”.