PALERMO – L’avevo ampiamente previsto: se non vince con il Cagliari, lo licenzia. E così è stato, perché il lupo perde il pelo ma non il vizio, là dove – l’avrete capito tutti – il lupo è Zamparini e il vizio è quello che lo ha reso famoso nel mondo del calcio ed oltre: cambiare gli allenatori come fossero calzini usati. E, per sostituirlo, ha scelto Gian Piero Gasperini, un ex, anche lui, avendo indossato la maglia rosanero per cinque stagioni, dal ’78 all’ ’83. Già, un ex: da quando Zamparini è presidente del Palermo, non c’è partita di serie A, B o prima divisione nella quale non mi imbatta in un ex giocatore o allenatore rosanero. Un vero record, difficilmente eguagliabile e, alla resa dei conti, rivelatosi, per il Palermo, più dannoso della grandine che si abbatte su un campo di fiori.
Ma dicevo di Gasperini: me lo ricordo ancheggiante sulla fascia destra, che era il suo territorio di caccia, che lui perlustrava tutt’intera, senza un attimo di sosta. Un vero stantuffo, col senso geometrico del fraseggio e i cross con il contagiri, che fecero la gioia di Gianni De Rosa, bomber mai troppo rimpianto, strappato alla vita troppo presto da un incidente stradale.
Gasperini, scuola Juve (parlo della Juve di allora, ben altra roba rispetto all’attuale), ala tornante, oggi si direbbe “esterno alto”, che aveva tocco felpato e passo rapido: lui “copriva” dalla sua parte mentre Montesano, dall’altra, si sbizzarriva nei suoi scatti, nei suoi dribbling rapinosi, libero di far tutto quello che gli dettava l’estro e la fantasia. Tanto c’era Gasperini a tirare la carretta, a garantire certi indispensabili equilibri di centrocampo. Col risultato che Montesano venne sfiorato dalla gloria per le sue “fughe e controfughe” ai margini dell’area di rigore avversaria (raramente, dentro) e Gasperini, invece, passava per un portatore d’acqua e invece non era così: nell’economia del gioco di squadra, lui era prezioso come se non più del funambolico Montesano. Ma si sa, rapisce i sensi più un dribbling ripetuto e insistito (con l’avversario che rotola sull’erba) che un passaggio di prima, un raddoppio sull’avversario in fuga libera, specialità queste ultime del bravo, generoso Gasperini.
Bravo e generoso e soprattutto signorile ed elegante, in campo e fuori. Ricordo che amava discutere con l’arbitro, tutte le volte che gli fischiava un fallo e lo faceva con tanto garbo che la giacchetta nera restava ad ascoltarlo anche per lunghi minuti. E che alla fine gli regalava un largo sorriso, che lui ricambiava, aggiungendovi un ossequioso inchino. Com’era bello, ragazzi. A decidere era sempre l’arbitro, lui solo, col suo occhio fallibile ma inattaccabile, non c’erano le discussioni al veleno di oggi, non c’erano le isterie e le zuffe televisive che trasformano i cosiddetti discorsi da bar in risse da taverna. Che peccato. Forse per questo un “signore” come Gasperini mi è rimasto nella memoria: perché non l’ho mai visto scalciare un avversario né reagire platealmente ad un fallo anche brutale, anche gratuito. Mai uno scatto di nervi esagerato, mai una “mala” reazione. Neanche quella volta che, scalciato proditoriamente da tergo, ad un passo dalla cancellata divisoria della gradinata, da un bieco medianaccio del Foggia (se la memoria non m’inganna, era il suo inossidabile capitano, Giovanni Pirazzini) rovinò sull’erba e sembrò per un attimo che quello gli avesse spezzato una gamba. Ricordo l’urlo rabbioso della folla rosanero – a quei tempi la sua collera, come la sua felicità, si sentiva meglio e di più, perché lo stadio aveva ancora un solo anello e l’ululato dei tifosi faceva presto a trapassare le orecchie di giocatori e pubblico – e la raffica di “Cur-nu-tu!” che, come un uragano, gli piovve addosso dagli spalti.
Ma più di tutto ricordo un tifoso dal petto villoso e nudo, malgrado la pioggia fitta, farsi i gradoni a quattro a quattro, manco fosse un canguro, per gridargli da più vicino possibile, perché lo sentisse improperi tanto coloriti quanto irriferibili. Ricordo pure che qualcun altro tentò persino di scavalcare la rete di protezione (la folla della “Favorita” dei tempi era ben più bellicosa di quella odierna del “Barbera”) e c’era quasi riuscito e che fu proprio lui, Gasperini, a farsi sotto la rete per placarne l’ira e farlo desistere. Ci riuscì? Beh, questo non lo ricordo bene, so solo che, di lì a poco, l’arbitro fece riprendere il gioco e tutto poi filò liscio fino al termine della partita.
Il Palermo di Gasperini giocatore, edizione ’81-’82, fu tra i più forti dei trentadue passati tra serie C e serie B e lui, un inamovibile punto di forza del centrocampo rosanero. Eppure, se chiedete a uno qualunque dei tifosi d’antan se era meglio lui o Montesano, novanta su cento questi ti risponderà: “Gasperini? Ma chi ci trasi? Montesano sì ca nni facieva arricriari”. C’era molta scenografia nei balletti di Montesano e molta sostanza, invece, nei rientri e negli assist di Gasperini. Tanto che, arrivato nel Palermo Antonio Renna, Gasperini diventò un titolare fisso, direi un intoccabile, e quel Palermo, infatti, sfiorò la promozione in serie A, come mai era accaduto prima. Promozione che tuttavia gli sfuggì per aver fallito due trasferte consecutive nella fase cruciale del campionato, a Varese e a Pisa.
Ma oggi Gasperini è un allenatore serio e di carattere, uno che ha le sue idee e le difende com’è giusto, rischiando pure l’esonero se qualcuno – o qualcosa – gli mette il bastone tra le ruote o pretende addirittura di interferire sul suo lavoro. Gli preconizzo, quindi, una vita difficile, fatta di tempestose telefonate notturne, alle quali lui presterà la dovuta attenzione (perché è una persona educata e dai modi gentili, in campo e nella vita) per poi decidere sempre di testa sua, com’è giusto e sacrosanto che faccia un allenatore, nel bene e nel male.
Gasperini è reduce da un’esperienza negativa, vissuta all’Inter: poche partite e subito l’esonero. Lui non ha mai battuto ciglio, ha solo fatto un passo indietro senza lasciarsi irretire dalla solita dietrologia, che vuole l’allenatore licenziato di brutto proclamarsi vittima di incomprensione e ingiustizie. E, per quanto mi riguarda, il flop interista non intacca minimamente il suo valore, ormai consolidato, di ottimo allenatore: basta dare una sbirciata al suo curriculum. Prima Crotone in B, e già allora le sue squadre giocavano con piglio da corsari – velocità di esecuzione nei “tagli” e negli inserimenti da dietro – facendo spettacolo. Poi la milizia rossoblù al Genoa, portato prima in serie A e qui confermato con ottimi risultati. E senza mai rinunciare al bel calcio, cioè a fare la partita sempre, sia contro un avversario debole che contro uno più forte. E questa è personalità. Ovvero, la dote principale di questo allenatore ancora giovane, che ha tutto il futuro davanti e sono certo saprà sfruttarlo alla grande. Quindi, prevedo forte, incisiva e rapida la sua “mano” nel cuore del gioco rosanero, sempre che gli sia concesso il tempo limite per cominciare a “istruire” la sua truppa, che – diciamolo francamente – non è da ultima della classe ma … quasi. Glissare su questo versante sarebbe come volersi bendare gli occhi per non vedere, esercizio che non rientra nel mio carattere: io dico sempre quel che penso, specialmente quando tutti scendono a precipizio dal carro che una volta fu dei vincitori ed oggi è diventato un luogo a perdere.