Prima la bella notizia nel maggio 2011, e la conseguente trafila burocratica per l’esame della documentazione, poi la pensione anticipata, di 10 anni, dall’1 aprile 2011 e infine pochi giorni fa la nuova mazzata: Camilla Giaccone è figlia di vittima della criminalità organizzata e non del terrorismo mafioso quindi la pensione è revocata. Così la dirigente medico, 52 anni, figlia del professor Paolo Giaccone, ucciso dalla mafia per essersi rifiutato di alterare i risultati di una perizia medico legale, a cui è intestato il Policlinico di Palermo, deve tornare a lavorare e restituire Tfr e i due mesi di pensione percepiti, secondo l’Inpdap, per errore. Paolo Giaccone, 53 anni, grande esperto di medicina legale e perito del tribunale, aveva ricevuto l’incarico di esaminare un’impronta digitale lasciata dai killer che nel dicembre 1981 avevano portato a termine la strage di Bagheria, con quattro morti. L’impronta era di un killer della cosca palermitana di Corso dei Mille guidata da Filippo Marchese, ed era l’unica prova che poteva incastrare gli assassini. Il medico ricevette delle pressioni per aggiustare le conclusioni della perizia dattiloscopica. Giaccone rifiutò e per questo fu ucciso l’11 agosto 1982 tra i viali dei padiglioni del Policlinico. Lo hanno ribadito diverse sentenze a mandanti ed esecutori del delitto tutte definitive.
“Ho lavorato per 22 anni. Ero diventata dirigente medico – dice Camilla Giaccone – nell’ospedale di Villa Sofia. Poi ho riscattato nove anni e con lo scivolo che la legge prevede per i familiari delle vittime di mafia sono andata in pensione. La delibera della direzione generale è del gennaio 2011 ma la pratica è cominciata nel maggio 2010: un anno di tempo per esaminare la documentazione. Due giorni fa sono stata contattata telefonicamente dai dirigenti Inpdap che mi volevano incontrare dicendomi che non potevo più andare in pensione perché la documentazione non lo consentiva. Il motivo: mio padre è vittima della criminalità organizzata e non del terrorismo mafioso. Ho chiamato la prefettura e un dirigente mi ha detto freddamente e scocciato che io non rientravo tra i familiari delle vittime di mafia”. “Cos’é mio padre – aggiunge – un morto di seconda categoria? E’ stato ucciso per aver detto no a Cosa nostra. E’ stato un grande uomo e ora la sua memoria deve subire anche questo”. Il parlamentare regionale del Pdl Salvino Caputo, che ha reso nota la vicenda, ha presentato un’ interrogazione parlamentare al Governo della Regione e ha chiesto l’intervento del ministro dell’Interno Roberto Maroni.
(Fonte ANSA)