Un tavolo e due sedie. Una bottiglia d’acqua fresca per la sete. Frutta di martorana per la fame. Foto familiari per il rimpianto. Chissà se si possono sognare sogni così. Ci sei tu, accanto a qualcuno che somiglia a te. Ha lo stesso sguardo dolce, la stessa smorfia ironica all’angolo della bocca, la stessa camicia sbottonata sul petto, la voce che raschia. Ma ha visto più cose. Ha perdonato più persone. E adesso ti dice: “Siediti, Gigi, goditi lo spettacolo”.
Il mare di Mondello a settembre, eppure sembra agosto. Bagnanti che non si rassegnano al passaggio dell’estate. Caffè e birre in piazza. Un cielo limpido da fare male. E dita che sfiorano feretro e carro funebre; baci a schiocco, tra labbra e palmi delle mani. Te l’avevano promesso e ti ci hanno portato, come un giro d’onore, nella borgata della tua anima. Ma tu non puoi più respirare l’aria del mattino.
Una chiesa con qualche albero, adesso. Il traffico di Palermo. I funerali. Una macchina in zona rimozione, circondata da sei vigili che non sono lì per quello; la proprietaria non lo sa e si precipita, in piena tachicardia, convinta di avere infranto chissà quale legge costituzionale. Se la cava con una multa e con un sorriso d’alleggerimento. Un vecchietto che si informa: “Chi è morto?”. “Gigi Burruano, l’attore”. “Ah. E la Messa la fanno su Canale Cinque?”.
E ti viene un po’ da ridere, con quel tuo ghigno che sapeva di pubblicità dell’asprezza, ma era solo la porta d’accesso di un’anima secretata. Davvero, rideresti a gola spiegata, nell’osservare un ragazzino che mostra, credendosi nascosto, le più fantasiose boccacce alla bara, mentre i grandi la osservano compunti, intanto che – sul sagrato del Don Orione – scoppia, fragoroso, il primo applauso.
Le navate non sono piene. Chi c’è, c’è perché non poteva non esserci. E questo conta più di tutto. Odore di incenso. Il tuo amico, Tony Sperandeo, che non stacca gli occhi; vestito di nero, con un’espressione in viso che pare la cronaca di un minuto all’inferno.
Don Gaetano, all’altare, tenta la mimica della consolazione: “Gigi mi ricorda Giobbe che ce l’aveva con Dio. Anche lui ci litigava, perché lo cercava e lo voleva. La sua preoccupazione era non lasciare niente di irrisolto: ‘Non mi nni pozzu iri chi debiti’, mi ripeteva…”. L’assemblea ride, seppure quasi in silenzio, perché alle esequie non sta bene. Ed è la tua vittoria per sempre: li hai fatti ridere perfino qui
Cercavi Dio, ovunque, ha ragione don Gaetano. Lo avevi incontrato, come tutti, al catechismo, con il cuore in mano, tra le pagine del libro, e ti era piaciuto. Poi vi eravate un po’ persi di vista, come accade quasi a tutti. Però, in certi gol del Palermo e nelle braccia alzate del ‘Barbera’, era come ritrovarlo. Come nel dolore profondo delle separazioni, delle ferite, degli sbagli. Come uno che ti sta accanto e non ti giudica.
Al microfono c’è tuo nipote, Martino: “Staranno gozzovigliando con Giorgio in Paradiso – rammenti Giorgio Li Bassi, il poeta dei banchetti e della strada -. Ho rivisto alcuni sketch impagabili. Quello degli ‘Zii d’America’, mentre lui ripete al telefono: ‘Niè, sto troppo bene. Un mi nni mannati piccioli…’. E il campo si allarga e si vede Gigi in mutande. (nuova risata silenziosa dell’assemblea). Lui era come il lampo che provoca danni, ma rischiara. Poteva farti male, però lasciava la sua luce con te”.
E adesso un altro Luigi – ma quanti sono – Lo Cascio, l’altro nipote, il ragazzo che ti ammirava dal balcone, che ha seguito le tue orme, in via Catania, quando irrompevi con la forza della tua ribellione, che ha imparato da te poetica, sintassi e trucchi di scena: “Lo zio Gigi è stato il primo uomo a portare l’orecchino a Palermo. Colorava tutto. Ha cambiato la mia vita. Ha cambiato la vita di tutti noi”.
Ma che bell’aria, in questa mattina dell’estate che finisce. Ma quanta felicità di esserci stati, dietro il lutto. Esserci stati con le testate e con le carezze, con le sbucciature e con i cerotti, con le battute azzeccate e quelle fuori tempo. Esserci stati, in questo ritaglio di una vita talmente intensa che ti verrebbe voglia di alzarti e di respirarla ancora, abbracciando tutti coloro che hai amato, uno per uno.
E gli vorresti dire di non piangere, di non asciugarsi gli occhi come se fosse un addio. C’è tempo. Ci sono teatri e scene infinite che nessuno ha mai calcato. Ci saranno mattine per ritrovarsi in un riflesso ignoto e volersi bene. Ci saranno invocazioni sussurrate e ritmate che ti faranno tornare indietro: “Gi-gi, Gi-gi, Gi-gi…”.
Ora è proprio finita, con l’ultimo applauso, fuori dalla chiesa. Chissà se si possono sognare sogni così. Un po’ conosci quel compagno di viaggio che è stato con te quando riavvolgevi il drappo della tua vita. Era sempre con te mentre il Palermo segnava e mentre soffrivi. Era nelle parole del prete. Era la speranza di coloro che ti hanno detto addio. E vorresti ringraziarlo, per tutto, anche per le ferite. Ma non ricordi il suo nome, sai solo che gli vuoi bene. Sai solo che, finalmente, ti vuoi bene.