CATANIA – Cultura dell’acquacoltura come sinonimo di mangiar bene. È questo il principio da cui è partito il progetto “Hello Fish” promosso dalla Camera di Commercio di Catania insieme alla campagna di comunicazione, locale e nazionale, condotta in collaborazione con UnionCamere nazionale e il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Quattro le regioni coinvolte Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia (Obiettivo 1) e tre le province siciliane che hanno partecipato a “Hello Fish”, Catania, Messina e Siracusa. Un progetto durato quaranta giorni al quale hanno aderito un numero cospicuo di pescherie e ristoranti, che avevano il “compito” di realizzare un menù (primo, secondo e contorno) a base di pesce coltivato in acquacoltura, ma anche tanti consumatori che hanno partecipato al contest fotografico mandando l’istantanea del loro piatto preferito.
Oggi nella sala Platania della Camera di Commercio di Catania, la premiazione che ha incoronato il ristorante “Le dolcezze del mare”, chef Giovanni Sicali, di Misterbianco, per aver creato un piatto a base di spigole con pesto al marsala su letto di rucola, e la foto di Dario Zappalà che ferma il tempo su un secondo di spiedini di salmone profumati al rosmarino.
In totale sono stati 18 i ristoranti e 18 le pescherie che hanno aderito al progetto che si è concluso stamattina con una tavola rotonda che si è svolta nella Sala Platania della Camera di Commercio di Catania. Un progetto che si sposa benissimo con la nostra città, Catania, dove la pesca ha sempre avuto un ruolo fondamentale per l’economia locale e l’acquacoltura potrebbe essere un’ottima risposta anti-crisi per ristoranti ed esercenti, a patto però che i consumatori prendano coscienza del fatto che il pesce d’allevamento non è meno buono di quello selvatico e in più, rispetto al secondo, garantisce valori nutrizionali, ambientali e qualitativi certi. Benefici che, se potenziati con un cospicuo aumento di aziende e produzione, si estenderebbero anche alla ripopolazione della fauna marina evitando la pesca intensiva.
“Il progetto Acquacoltura a Catania ha raccolto risultati oltre ogni aspettativa – commentano il segretario generale Pagliaro, e il commissario ad acta Roberto Rizzo – ci hanno creduto gli imprenditori, comprendendone le tante finalità sino in fondo, e ci hanno creduto i consumatori. Viviamo in una terra dove il rapporto diretto e millenario con il mare, ci ha convinti a giudicare male il pesce che nasce e vive fuori dal contesto marino selvatico. Eppure non facciamo i conti con la realtà: le risorse marine non sono infinite, i pescati sono sempre più scarsi e costosi, e un buon 70% del pesce che troviamo in pescheria, non è nostrano. Il pesce allevato invece è controllato, se ne conosce la provenienza e persino i palati più raffinati fanno spesso fatica a distinguerlo da quello selvatico”.
Attualmente in Sicilia le imprese che si occupano di acquacoltura sono solo cinque con una “produzione mirata per lo più sugli avannotti – ha commentato il biologo marino dell’Università di Catania Andrea Lo Bue – che vengono poi rivenduti alle aziende di paesi stranieri (Malta e Grecia soprattutto) per passare alla seconda fase, l’ingrassaggio, che dura fino a 24 mesi. Una volta raggiunto il peso ideale i pesci nati in Sicilia e cresciuti all’estero tornano sulle nostre tavole passando ovviamente dalle pescherie”. Viene da pensare che questi pesci facciano un giro enorme e forse troppo complicato ma il problema sta nel fatto che la produzione degli avannotti è la parte meno costosa di questo tipo di allevamento che in Sicilia costa molto, ma molto di più che in altre parti del mondo. “In Sicilia nel 2008 erano 18 le imprese che si occupavano di acquacoltura – continua Lo Bue – e davano lavoro a un bel numero di persone. Giusto per fare un esempio, una grande azienda di acquacoltura che opera a Pachino dà attualmente lavoro a un centinaio di persone. Purtroppo le tasse, i costi demaniali e la burocrazia hanno contribuito alla chiusura di tante aziende”. Costi demaniali che vengono applicati a livello regionale e che “in Sicilia, rispetto a Malta o alla Grecia, sono dal 50 all’80 per cento in più – ha aggiunto Lo Bue -. Eppure, una filiera locale come questa, potrebbe aprire nuovi scenari, creare investimenti, sviluppo e posti di lavoro, nonché buon pesce a chilometro zero da consumare 365 giorni all’anno mentre nella realtà di oggi, le spigole di acquacoltura che arrivano nelle nostre tavole provengono da Malta, prima produttrice, e dalla Grecia”.
Per Giuseppe Guagliardi, componente del MAAS, “il futuro del mercato ittico sarà legato proprio all’espansione dell’acquacoltura. Ad oggi, invece, non possiamo soddisfare le richieste che ci arrivano anche da grandi soggetti internazionali”.
Sul sito www.hellofish.it si possono trovare informazioni utili sull’acquacoltura e tantissime ricette da realizzare.



